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[Il documento integrale] Con il Recovery Plan italiano il Pil crescerà del 3 per cento. Ecco il piano del ministro Franco

Tempi stretti, strutture da rafforzare e piano da rivedere, pur senza buttare la «grande mole di lavoro» fatto fin qui: al suo debutto in Parlamento il ministro dell’Economia, Daniele Franco, spiega il metodo con cui il nuovo governo sta affrontando la stesura del Piano di ripresa e resilienza, chiarisce che bisogna correre e non c’è spazio per «battute d’arresto» e illustra la governance immaginata per il Recovery Plan italiano, che farà perno sul coordinamento del ministero dell’Economia ma avrà diramazioni in tutti i ministeri.

Il nostro Osservatorio è in grado di pubblicare il dossier che il Mef ha consegnato durante l’audizione in Parlamento.

L’obiettivo è quello di arrivare pronti entro la fine aprile con un piano «ambizioso» ma «credibile e dettagliato», che potrà avere un impatto anche superiore al 3% del Pil se saranno realizzate le riforme, a partire da giustizia e PA.

Mentre la riforma del fisco, pur essendo tra le priorità, non sarà affrontata «nell’ambito» del Pnrr.

L’Italia, avverte subito il nuovo titolare di via XX settembre, potrà contare su un po’ meno risorse di quante ipotizzate finora, 191,5 miliardi di fondi Recovery invece di 196, con la revisione della quota di prestiti sulla base dei dati riferiti, come da regolamento europeo, al 2019.

Una cifra che potrebbe peraltro essere ancora rivista quando nel 2022 si chiuderà la valutazione sulla seconda tranche di finanziamenti, il 30% del totale, che sarà calcolata sull’andamento del Pil del 2020 e 2021. I progetti andranno quindi «tarati sulle risorse effettivamente disponibili» e bisognerà «riflettere» se rivedere la «distribuzione» tra progetti nuovi e già a bilancio.

Nessun accenno al programma Cashback, pur nel mirino di quasi tutte le forze politiche che, a eccezione del M5S, iniziano a chiedere di spostare le risorse verso le imprese o verso le famiglie più in difficoltà.

Il Recovery è la priorità «per il Mef, per il governo, per il Paese» esordisce Franco, prima di essere interrotto, tra le proteste in particolare di Fdi, per difficoltà di collegamento: nonostante i problemi tecnici, e le polemiche del weekend sulla consulenza di McKinsey, l’audizione scorre via liscia, con toni pacati e domande non troppo provocatorie. Certo, le richieste di spiegazione sulla chiamata della multinazionale arrivano ma senza accenti bellicosi.

Non c’è «nessuna intromissione nelle scelte» assicura Franco, solo un «supporto tecnico-operativo», nessuna struttura privata «ha accesso a informazioni privilegiate o riservate». Mckinsey, insomma, darà una mano su «produzione di cronoprogrammi, aspetti metodologici nella redazione del piano, aspetti più editoriali che di sostanza», su cui invece si stanno esercitando fin dall’insediamento tutti i ministeri coinvolti a partire da quelli della Transizione, digitale ed ecologica, e dal ministero del Sud.

Innovazione, ambiente e coesione restano infatti le linee guida del Piano che manterrà, spiega Franco, le 6 missioni individuate dal governo Conte: ora è in corso una valutazione «di quello che va conservato, perché fatto bene» e di quello che va invece «integrato e sviluppato», a partire dal dettaglio delle riforme.

Quelle prioritarie sono giustizia e Pubblica Amministrazione, insieme a una azione di «semplificazione trasversale», e vanno affrontate «con pragmatismo», parola che Franco ripete più volte, bilanciando l’obiettivo di «ridisegnare in modo organico la cornice regolamentare» con i «tempi molto molto serrati», non solo per scrivere, ma anche per realizzare i progetti.

Per questo va rafforzata subito la struttura che se ne dovrà occupare, mettendo in piedi «in tempi rapidi» anche un sistema di reclutamento «di giovani nella PA». Franco non entra nei dettagli, rinviando alle audizioni dei singoli dicasteri, scelta che lascia un po’ delusi i parlamentari che si aspettavano maggiori integrazioni da parte del ministro.

«Notizie nessuna», commenta qualche senatore, che teme come i colleghi della Camera di non poter incidere in alcun modo e di ritrovarsi a dare, nelle prossime settimane, un parere su un testo superato.

Non bastano, insomma, le rassicurazioni sul fatto che le risoluzioni, che dovrebbero essere votate alla fine di marzo, saranno tenute in grande considerazione per la revisione del piano. Assicurando un dialogo «durevole e intenso» con le Camere, Franco ammette però che ad aprile ci sarà «una fase molto rapida e concitata» e che ancora non si è deciso, quindi, se il testo finale passerà di nuovo per un voto, come vorrebbero i partiti.

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