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Gian Maria Gros-Pietro (Presidente Intesa SanPaolo): «Il ruolo delle banche è fondamentale sia per la resilienza che per l’innovazione»

Concedere credito ai richiedenti meritevoli è da sempre il mestiere della banca ma oggi, nel mezzo della più violenta crisi economica dal dopoguerra, questa attività si è andata facendo particolarmente complessa. Il giro d’affari di moltissime imprese è stato compromesso dalla pandemia e i livelli medi d’indebitamento sono gioco forza cresciuti. Al dibattito si è unita nei giorni scorsi l’autorevole voce dell’ex presidente della Bce Mario Draghi, il cui cauto realismo è stato apprezzato da Gian Maria Gros-Pietro.

Da studioso di economia industriale, il presidente di Intesa Sanpaolo non può fare a meno di osservare che oggi il ruolo delle banche è fondamentale, sia per garantire la continuità alle aziende sane ma temporaneamente ferme che per fare da volano all’innovazione.   

Gros-Pietro, il Covid ha mandato l’Italia in recessione. Da economista e presidente di una grande banca come valuta l’attuale congiuntura e le risposte che il governo ha messo in campo? “Le imprese italiane hanno sempre mostrato grande capacità di adattamento ai cambiamenti del contesto economico e con la pandemia non hanno fatto eccezione. Nel terzo trimestre, quando sono venute meno le restrizioni all’attività economica, la produzione industriale è salita del 30% mentre il pil è cresciuto del 16%. C’è peraltro più di una ragione per aspettarsi una ripresa sostenuta. Per un paese come l’Italia, che è ai primi posti al mondo per produzione di macchine e macchinari, l’economia circolare rappresenterà un’opportunità.

Basti pensare alla necessità che molte aziende avranno di cambiare non solo tecnologie ma anche impianti, sistemi di trasporto, forme logistiche e di distribuzione. Senza contare che a questa crisi il nostro tessuto  economico si è presentato molto più robusto rispetto a venti anni fa e con due fondamentali risorse a disposizione: la liquidità e il capitale umano. Quanto alle risposte del governo, mi sembra che siano state buone.  Naturalmente si può sempre fare meglio, ma bisogna considerare che di  fronte a questa emergenza tutti i Paesi hanno dovuto decidere al buio”.

In questo contesto quali sfide il sistema bancario dovrà affrontare nel 2021? “Nel recente intervento per il G30 Mario Draghi ha posto l’accento  sulle problematiche che il mondo del credito si troverà ad affrontare. Negli ultimi anni le banche centrali hanno messo a disposizione volumi consistenti di liquidità che spetta agli istituti indirizzare verso gli usi più profittevoli. Oggi ci sono moltissime imprese che potranno ripartire non appena la crisi sanitaria sarà rientrata. Le banche hanno il dovere di sostenerle non solo con moneta ma anche con finanziamenti che  garantiscano la continuità. Ci sono poi aziende che, persino in una fase  come questa, vogliono crescere e innovare. Anche in questo caso il ruolo  della banca è fondamentale per l’allocazione delle risorse finanziarie e per la creazione di rapporti e relazioni essenziali per lo sviluppo dell’impresa”.

Alcune richieste dei regolatori pero’ rischiano di complicare queste  attività. E’ d’accordo per esempio con chi chiede un ammorbidimento della  disciplina sugli npl? “Credo che sia molto utile una continua interlocuzione con regolatori  e supervisori. Indubbiamente in passato ogni Paese europeo aveva abitudini diverse riguardo ai termini di pagamento. Lavorare a un allineamento è giusto ma occorre muoversi con grande prudenza. E’ assurdo far morire  un’impresa perché non ha registrato un flusso finanziario per mancanza temporanea di entrate. Noi in Intesa Sanpaolo abbiamo illustrato ai supervisori i successi ottenuti nel riportare in bonis centinaia di migliaia di imprese. Credo che la strada sia quella: mettere a  disposizione delle aziende valide – ma in temporaneo stress finanziario –  tutti gli strumenti necessari per superare le difficoltà”.

Restando su tematiche regolamentari, che implicazioni avrà per voi la recente decisione di Bce sui dividendi? “Ci atterremo alle indicazioni che arriveranno dalla Bce. C’è un dialogo in corso e il supervisore sa benissimo che, per rispondere alle sfide del futuro, al settore occorrono investimenti notevoli in capitale umano e tecnologia. Nessuno però investe senza una remunerazione del capitale, anche nella forma di dividendi. Non solo. Se le banche non saranno più in grado di remunerare gli investitori, questi si sposteranno verso settori meno regolamentati che godranno così di un implicito vantaggio competitivo. Siamo sicuri che il regolatore voglia favorire questi settori più opachi a discapito dei soggetti vigilati?”

Il 2020 è stato l’anno del Covid ma per Intesa anche l’anno della maggiore operazione straordinaria dal 2007. Vi siete mossi controcorrente? “Quando ci siamo mossi non avevamo idea di andare controcorrente. Abbiamo lanciato l’ops, che poi è diventata un’opas, il 17 febbraio quando in Italia non si parlava ancora di pandemia. Di certo abbiamo fatto da apripista per quel consolidamento che da tempo i regolatori chiedevano. Oggi c’è un confronto globale tra banche e questo confronto richiede che l’Europa rafforzi la propria industria creditizia. Basti pensare che la maggior parte delle prime dieci banche mondiali sono cinesi e statunitensi. Il consolidamento insomma è una necessità anche se, prima di farne uno a livello europeo, ne serve uno a livello nazionale”.

Perché avete scelto Ubi? “Per fare una buona aggregazione non basta essere forti e sani, ma è raccomandabile essere simili e avere culture affini. Sotto questo punto di vista Ubi per noi era il miglior partner possibile. Si tratta non solo di una banca ben gestita e attiva in territori contigui ai nostri, ma ha anche una cultura molto simile a quella di Intesa Sanpaolo. Voglio per  esempio ricordare che tra i soci rilevanti di Ubi c’erano e ci sono  fondazioni, come anche nel nostro azionariato”.   

Intesa infatti è rimasta l’unica grande banca italiana con soci di riferimento stabili. Che valore ha per voi oggi questo assetto azionario? “Per noi le fondazioni hanno sempre contato moltissimo a partire dalla fusione tra Banca Intesa e il Sanpaolo del 2007. Non solo perché rappresentano l’essenziale anello di congiunzione con i territori sui quali operiamo, ma anche perché oggi le fondazioni possono dare un supporto fondamentale alle strategie della banca. Pensiamo solo alle tematiche Esg, sempre più centrali per grandi aziende e istituti di credito e molto cari a investitori globali come BlackRock, che è anche nostro socio. Oggi non è possibile fissare obiettivi di lungo periodo in questi ambiti senza il supporto di azionisti stabili quali per l’appunto  sono le fondazioni. I nostri shareholder, così come quelli di Ubi appena saliti a bordo, hanno nel dna l’attenzione alla sostenibilità dell’impresa e all’economia circolare”.   

Come sta procedendo l’integrazione? “Meglio e più rapidamente del previsto. Soprattutto siamo rimasti positivamente colpiti dalla qualità e dal livello di partecipazione del personale di Ubi. Dentro la banca abbiamo scoperto competenze che per noi saranno preziose e delle quali ci consideriamo davvero molto soddisfatti”. Torniamo al consolidamento. Sarà davvero una tappa obbligata per il sistema bancario italiano? “L’offerta pubblica su Ubi è stata un campanello per il settore e non solo a livello italiano. La prima emulazione si è vista in Spagna con il deal tra CaixaBank e Bankia e altri potrebbero seguire. Ovviamente anche l’Italia è uno dei paesi in cui c’è spazio per le aggregazioni”.

In Italia però, come in altri Paesi europei, le aggregazioni stanno  avvenendo soprattutto all’interno dei confini nazionali. Crede che ci sia  spazio anche per fusioni cross border? “In questo momento è molto difficile fare operazioni cross-border  perché le sinergie non sono ovvie e senza sinergie il supporto degli azionisti rischia di venire meno. In Europa ci sono ancora eccessivi ostacoli che solo le autorità nazionali potranno appianare, andando nella direzione auspicata da supervisori e regolatori”. Intesa nei prossimi anni guarderà all’estero per eventuali operazioni straordinarie?    “In Italia abbiamo raggiunto limiti dimensionali difficilmente valicabili. L’estero rappresenta un’opportunità, ma in questo momento non vediamo le condizioni per operazioni di rilievo. Ricordo, però, che recentemente abbiamo fatto due deal in Svizzera nel wealth management. Non sono stati deal di grandissime dimensioni, ma di ottima qualità, in una direzione che consideriamo molto importante”.   

Il ceo Carlo Messina del resto ha definito Intesa una wealth management company. Una strategia che confermerete? “Siamo convinti che sia essenziale ampliare l’offerta di servizi. Oggi presidiamo le assicurazioni, la gestione del risparmio, la previdenza. Indubbiamente in alcuni di questi settori abbiamo concorrenti esterni al sistema bancario ma, come banca, sappiamo di poter offrire al cliente garanzie oggi sempre più essenziali: fiducia, riservatezza, tutela dei dati. In un mondo in cui le violazioni della privacy sono sempre più frequenti e allarmanti vogliamo presentarci come un porto sicuro”.   

A proposito di fiducia, che 2021 si aspetta per l’economia italiana? “Come dicevo, sono molto ottimista sulle capacità dell’Italia. Vorrei soprattutto sottolineare che il nostro paese ha un enorme capitale umano. Negli ultimi due decenni abbiamo prestato all’estero una quota rilevante di questo capitale, in particolare quella di migliore qualità. Ora è giunto il momento di averne davvero cura, di valorizzarlo e di creare gli incentivi giusti per riportarlo in Italia. Sarà un risorsa essenziale per uscire dalla crisi. Forse la risorsa più importante”. 

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