“Il calcio è l’unico sport dove esistono ancora dinamiche padronali. Almeno in Italia. In Inghilterra il proprietario non ha mai una gestione diretta della società. Delega, conferma, ricambia. Da noi invece i presidenti se la cantano e se la suonano”. Con queste parole il numero 1 dello sport italiano, Giovanni Malagò, inquadra il ‘pallone’ italiano in una lunga intervista al Corriere dello Sport.
Oggi abbiamo solo debiti e umiliazioni fuori dai confini nazionali
“Quando da commissario della Lega ho messo in moto la revisione dello statuto per avere un cda con presidente, ad, consiglieri indipendenti, mi guardavano come uno che volesse violentarli. Per loro l’ideale era mantenere la gestione dell’assemblea partecipativa in cui si comanda in 20 per non far comandare nessuno. Lo stesso accade all’interno delle società. Chi vende i diritti tv non può essere la stessa persona che si occupa dell’erba del campo e del contratto dei calciatori. I bilanci parlano. E dicono che si è perduta la via maestra del risultato economico senza raggiungere traguardi sportivi. Perché Moratti, Berlusconi, e prima l’Avvocato hanno speso sì un sacco di soldi, ma almeno lo sfizio se lo sono tolto, alzando coppe da tutte le parti. Oggi abbiamo solo debiti e umiliazioni fuori dai confini. Guardi il livello, quantitativo e qualitativo, dei diritti tv. Pochi introiti e contenziosi a gogo. Ma dico io: gli americani, che del business sono maestri, sono stupidi a demandare tutto al commissioner?”.
Valutare il salary cap
Secondo Malagò bisogna “equiparare costi industriali e stipendi ai volumi di fatturato. Guardando sempre agli americani, che, non a caso, praticano il salary cap. Non vuol dire disconoscere i meriti dei campioni. Ma coltivare il realismo e la saggezza del fare impresa. Una cosa mi colpisce. Il calcio è l’unica economia che ragiona al netto e non al lordo. Significa misurare la realtà sul desiderio e sul consumo, non sull’investimento che c’è dietro per realizzarli”. A confortare il numero 1 del Coni la convinzione che il problema sia stato compreso “molto bene da Gravina. Il nuovo presidente della Lega, Lorenzo Casini, è un giurista: deve essere messo nella condizione di lavorare. Servono una nuova governance, nuove regole e soprattutto armonia tra Figc e Lega”.
Il tema “Superlega”
C’è chi punta sulla Superlega per rilanciare il sistema. “Mi chiedo se la Champions non lo sia già, una Superlega. Avete visto il solco che si sta scavando, in termini di introiti, tra le squadre che vi accedono e quelle che restano fuori? Non mi sembrano maturi i tempi per creare un’ulteriore dinamica di upgrade. Non facciamo gli ipocriti, è normale che un azionista ci provi per dare una sistemata a bilanci disastrati. Ma non per questo la Superlega diventa sportivamente accettabile. La mia stella polare è il CIO. Se fai un campionato fai-da-te, alle Olimpiadi non ci vai”.
Sì al tempo effettivo, da valutare i playoff
Un “perché no” all’ipotesi playoff e playout e un convinto “sì” al tempo effettivo. “Non sopporto vedere calciatori per terra che simulano fratture multiple, o giocatori sostituiti che escono dal campo al ralenti. Il tempo effettivo promuove la lealtà sportiva. Var a chiamata? D’accordissimo. La tecnologia è utilissima, ma va usata meglio”. Ma al di là di tutto ciò che preoccupa “più di ogni altra cosa” Malagò è il numero di stranieri che giocano in Italia e lo scarso spazio per i giovani. “Sui banchi delle scuole italiane ci sono 172 mila persone in meno rispetto a 15 anni fa. Il calo demografico è complice dei vivai fatti di soli stranieri e della crisi di competitività del sistema. In altre parti del mondo accade il contrario. Ci sono paesi con boom demografico e cultura calcistica monotematica. O ci attrezziamo, o finisce un’egemonia sportiva che è parte della nostra cultura. Non deve accadere. Basterebbe qualche incentivo finanziario ai vivai per tornare a far crescere un po’ di talenti nostrani. Qualcosa cambierebbe”.
Giusto andare avanti con Mancini
Dalla parte di Gravina quando, dopo la mancata qualificazione al Mondiale, ha scelto di andare avanti con il ct Mancini. “Ha vinto l’Europeo in discontinuità con la crisi che raccontiamo. Cambiare sarebbe stato un salto nel vuoto”. Ed è con il Mancio anche su Immobile. “Mi stupirei se non avesse più spazio in Nazionale. Lo considero di gran lunga il più forte centravanti italiano”. Infine Totti e la Roma. “Se lo riporterei in giallorosso? Sì, senza alcun dubbio. Accadrà? Non è sicuro, ma è probabile”.