Purtroppo le risposte che l’Unione europea ha opposto fino a questo momento sono insufficienti, soprattutto ora che siamo entrati nel momento più drammatico e decisivo del conflitto in Ucraina. Lo scrive Federico Fubini nel suo editoriale sul Corriere della Sera.
I ventisette governi hanno varato otto cicli di sanzioni contro Mosca, senza pensare alle difese di fronte alla reazione che sarebbe arrivata da Putin. A lungo la Commissione europea ha difeso il «disegno di mercato» nel settore dell’energia in Europa, malgrado le assurdità evidenti: il taglieggiamento praticato da Putin nel più politico dei settori; o le oscillazioni paurose del prezzo del gas sulla piattaforma finanziaria di Amsterdam.
Se non offre risposte serie – spiega Fubini -, l’Unione europea è destinata a perdere legittimità agli occhi dei suoi cittadini. In fondo però non si tratta di una situazione inedita: due anni e mezzo fa le istituzioni europee si trovarono di fronte a un dilemma simile nel pieno della pandemia.
Nelle prime settimane di lockdown, da alcune capitali e da settori della Commissione europea si diceva l’equivalente — fatte le differenze — di ciò che alcuni hanno fatto capire durante i primi sei mesi di guerra: ognuno doveva cavarsela da sé, non c’era molto che l’Unione europea potesse fare insieme, una risposta comune innovativa non serviva o era impossibile.
Paolo Gentiloni e Thierry Breton, commissari Ue per Italia e Francia, propongono un fondo comune per prestiti agevolati ai Paesi simile al primo che fu lanciato con la pandemia. Il fondo finanzierebbe la cassa integrazione delle imprese chiuse dal caro-energia: sarebbe il primo segnale che in Europa i problemi delle persone comuni stritolate in questa guerra economica sono compresi e che lassù in cabina di pilotaggio qualcuno c’è.
Stamattina chiederanno insieme alla Commissione Ue di progettare un tetto al prezzo del gas di tutti i fornitori (non solo la Russia), all’ingrosso, valido anche sui contratti in vigore (non solo su quelli futuri), flessibile e non così basso da creare problemi di approvvigionamento.
È qualcosa che l’Italia chiedeva da mesi e entra nell’agenda comune solo ora. Forse – conclude l’editorialista- non basterà, va messo alla prova: ma è un atto di volontà politica per respingere le pressioni di Putin e difendere i cittadini europei.