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Emanuele Orsini (Vicepresidente nazionale Confindustria): «Fisco, serve una riforma a tutto tondo. Ridisegnare la progressività dell’Irpef una priorità»

«Serve un progetto di riforma a tutto tondo, partendo da tre nodi fondamentali: la portata dell’azione riformatrice perché è l’intero sistema fiscale – e non solo l’Irpef – che ha bisogno di una riforma; il tempo perché le riforme non si fanno con la decretazione d’urgenza; le risorse che oggi ammontano, in media, a soli 2 miliardi l’anno nel 2022 e 2023 e sono esigue». È questa la richiesta avanzata da Emanuele Orsini, Vicepresidente di Confindustria per il credito, la finanza e il fisco durante un’audizione al Senato sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario.

«Recuperare risorse dall’evasione va bene, ma non offre garanzie. Servirà rimodulare il prelievo nelle imposte e tra le imposte del sistema fiscale». Secondo Confindustria, «oggi l’Irpef – l’imposta principale del nostro ordinamento – sembra uscita dal bisturi del Dr. Frankenstein: parti estranee e incoerenti, tenute l’una all’altra solo dal filo ideale di tassare il reddito personale». Inoltre sono «troppe le eccezioni all’Irpef. I regimi sostitutivi vanno valutati uno ad uno e quelli che intendiamo mantenere vanno almeno coordinati col regime normale».

Restano dentro l’Irpef perlopiù dipendenti e pensionati che, secondo i dati del Mef, insieme fanno l’87% dei contribuenti Irpef e versano circa l’81% dell’imposta totale. «La progressività va ridisegnata. Con l’Irpef attuale un dipendente che cerca di guadagnare un euro in più finisce col trovarsi in tasca pochi centesimi o, al limite, col peggiorare la propria situazione complessiva, perdendo bonus e detrazioni. Per un lavoratore dipendente l’aliquota marginale effettiva sopra i 28.000 euro è di oltre il 31% (quella legale è del 27%). Tra i 35.000 ed i 45.000 euro il prelievo effettivo arriva al 61% a fronte di un’aliquota legale del 38%. Questo sistema è un disincentivo al lavoro e alla produttività», ha sottolineato Orsini.

«Regolarizzare l’andamento delle aliquote effettive dell’Irpef è una priorità. Nel farlo, va alleggerita la pressione sui redditi medi, eliminando i disincentivi ad aumentare il reddito, in particolare sopra i 28.000 euro, soglia oltre la quale l’attuale modello produce le distorsioni più ampie». Per Confindustria, «la soluzione più agevole è ridisegnare i parametri dell’imposta esistente, mantenendo un sistema ad aliquote e scaglioni, ma riducendo l’ampiezza dei “salti” di aliquota (in particolare tra secondo e terzo scaglione) e applicando le detrazioni decrescenti in maniera più lineare rispetto al reddito a partire da 28.000 euro».

Meglio pochi grandi incentivi e una tassazione bassa, che una giungla di bonus minuscoli o per pochi eletti. Il rapporto più recente sulle spese fiscali (2020) censisce 602 agevolazioni a disposizione. La maggior parte operano esclusivamente (o anche) sull’Irpef (196 misure, il 36,7% del totale). L’impatto in termini di mancato gettito è circa 40 miliardi di euro l’anno. Poi, «per le spese fiscali serve una revisione coraggiosa e puntuale sulla base di dati ed evidenze oggettive». Potrebbe essere eliminata la galassia di “microagevolazioni”, con importi risibili o manciate di beneficiari e mantenuto un ristretto nucleo di spese fiscali, da classificare in ambiti (casa, famiglia, salute). Le risorse eventualmente recuperate devono andare integralmente a ridurre la pressione fiscale.

Inoltre, le agevolazioni hanno un senso se “vivono” abbastanza da consentire la loro implementazione e fruizione e se hanno un’intensità tale da smuovere i comportamenti desiderati. I superbonus al 110% sono un esempio di questo corretto approccio. Si tratta di una misura potente e utile, ma che andrebbe estesa e rafforzata -consentendo l’accesso anche alle imprese – semplificando l’iter applicativo e la normativa. L’IRAP (Imposta sul Reddito delle Attività Produttive), invece, «ha fatto il suo tempo. Dopo la cancellazione temporanea dei versamenti del tributo dovuti nel 2020, il Legislatore ha un’occasione storica per eliminarla del tutto» con enormi benefici in termini di semplificazione e attrazione di nuovi investimenti.

«Anche la tassazione delle imprese va migliorata» ma senza introdurre nuove imposte o oneri. Inoltre, «non si può continuare a complicare la vita ai sostituti d’imposta. Le imprese fanno già da esattori per conto dello Stato, gratuitamente e tra mille complicazioni, ma c’è un limite ai compiti che possono svolgere. Sarebbe auspicabile quanto meno poter assolvere a questo compito in un quadro legislativo più chiaro e definito. Non vanno posti a carico delle imprese obblighi di controllo che spetterebbero all’Amministrazione finanziaria», ha sottolineato Orsini, riferendosi «in particolare al compito, affidato alle imprese appaltanti, di verificare gli adempimenti cui le imprese fornitrici sono tenute in qualità di sostituti d’imposta. Non si può – per colpire pochi – chiedere a tutti adempimenti al limite dell’impossibile», ha puntualizzato.

«Riguardo l’imposta patrimoniale il tema non è “se” introdurne una, ma come riorganizzare le 17 che abbiamo già», ha infine precisato Orsini, secondo il quale «per ricostruire un migliore rapporto con il Fisco si deve partire dal rispetto dei diritti dei contribuenti. C’è una legge al riguardo, e va applicata».

Per l’Unione Nazionale Consumatori il Presidente Massimiliano Dona invece afferma: «abbiamo già aumentato imposte proporzionali come l’Iva, prima dal 20% al 21% poi dal 21% al 22%, gli oneri di sistema delle bollette di luce e gas, le accise sui carburanti, le tariffe di acqua e rifiuti. Se, come dice Draghi e come noi condividiamo, il fisco deve essere progressivo, sono queste ultime a dover essere ridotte, non certo l’Irpef».

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