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Claudio Descalzi (Ad Eni): «Abbiamo bisogno della verità sul caso Regeni: per creare una stabilità nel Mediterraneo che vada ben oltre il rapporto commerciale»

È necessario «sciogliere il nodo» del caso di Giulio Regeni, «per creare una stabilità nel Mediterraneo che vada ben oltre il rapporto commerciale» tra Italia ed Egitto.

Lo ha detto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, durante un’audizione presso la commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

Descalzi ha spiegato che «anche nel periodo in cui non c’è stato il nostro ambasciatore, sono andato molte volte in Egitto e ogni volta ho ribadito, anche con il presidente al Sisi, la necessità di fare chiarezza e collaborare con l’Italia, per il bene della verità, dell’Italia e dell’Egitto. Non si possono lasciare ombre di questo tipo su eventi così gravi. Mi sono fermato a quello».

«Ancora adesso è importante sapere perché è successa una cosa così grave, soprattutto tra due Paesi che sono amici, che hanno sempre avuto ottime relazioni, commerciali, diplomatiche», ha proseguito il manager. L’Ad di Eni ha ripercorso la storia degli ultimi anni del gruppo in Egitto e i rapporti con il Paese, in particolare dal 2015.

«Quando noi vinciamo una gara, prendiamo un permesso petrolifero, per il quale non si sa se ci sono risorse, ci dobbiamo prendere il rischio completo, per tutta l’attività è così, non sappiamo cosa c’è sottoterra. Con gli stati abbiamo un rapporto particolare, come società petrolifera, gli stati ci cercano. Eni in quel periodo veniva da almeno 5-6 anni di fila, come prima società in esplorazione al mondo, con grossi successi, dal Mozambico all’Indonesia, all’Angola, all’Egitto, quindi in questo caso i paesi cercano di attirare questi investimenti».

«In quel periodo» ha spiegato «non c’erano molti investimenti in Egitto. Noi all’inizio 2015 dovevamo prendere la decisione di perforare un possibile campo esplorativo, avevamo vinto questa gara, un investimento a rischio, non avevamo trovato partner. Questo campo era già stato testato senza trovare nulla, così abbiamo applicato le nostre tecnologie e nel giugno-luglio 2015 abbiamo fatto questa perforazione, molto rischiosa e da soli. Dopo un mese e mezzo, in agosto, abbiamo scoperto il più grosso giacimento mai trovato nel Mediterraneo, un momento importantissimo per noi».

«Confermava le capacità di Eni a livello mondiale, questo affermava una leadership a livello esplorativo. Abbiamo trovato delle riserve in un momento in cui l’Egitto era diventato importatore di gas e abbiamo dato una nuova luce all’Egitto. A ottobre avevo presentato un piano di sviluppo con un solo pozzo e in quel periodo tutto l’Egitto era concentrato a seguire le nostre indicazioni, anche lo sviluppo è un rischio che si corre. A febbraio abbiamo avviato lo sviluppo».

Altre società, in quel periodo, hanno iniziato a essere «molto interessate all’Egitto. È iniziata una fase di nuove gare, e sempre in quel periodo, abbiamo saputo della tragedia di Regeni, 5-6 mesi dopo la scoperta di Zohr, e questo è stato un qualcosa di grande difficoltà. Nell’anno successivo abbiamo incontrato la famiglia, abbiamo cercato di essere aggiornati, il nostro potere di azione era molto limitato in quanto al nostro ruolo». Ma sul caso Regeni, l’Egitto deve dare una versione «giusta, credibile e oggettiva».

«Penso che nel caso Regeni sia corretto andare su fatti oggetti e fare un’analisi seria e approfondita come quella che stanno facendo la magistratura e questa commissione», ha aggiunto Descalzi spiegando che la cosa migliore sia «continuare a insistere per capire cosa è successo». Si tratta, secondo il numero uno di Eni, di sciogliere «un nodo fondamentale per riprendere un rapporto normale di amicizia con l’Egitto, che è un Paese fondamentale nel contesto arabo e Mediterraneo».

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