«In questi giorni tv e quotidiani insistono nel riportare i risultati di un esperimento condotto in Islanda su 2.500 tra medici, infermieri e poliziotti per testare cosa succede se si lavora un’ora in meno al giorno a parità di salario». Scrive Domenico De Masi, sociologo e già preside della facoltà di Scienze di Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma. «Poiché i risultati sono stati eccellenti sotto tutti i punti di vista, imprenditori e sindacati islandesi hanno concordato la riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 35 ore settimanali per l’86% di tutti i lavoratori di quel paese, a salario invariato. In tutto questo la vera notizia non è ciò che è avvenuto in Islanda ma la reazione dei media italiani».
«L’Islanda è una nazione di 366.700 abitanti, profondamente diversa dall’Italia sotto quasi tutti i punti di vista. Molto più vicini a noi abbiamo due paesi – Francia e Germania – che non solo ci somigliano molto di più, ma che da anni adottano un orario di lavoro inferiore a quello che l’Islanda ha introdotto solo pochi giorni fa. Eppure, i media italiani non ne parlano mentre si sgolano per il caso islandese», prosegue su InPiù.net.
«Secondo i dati Ocse un francese lavora 1.514 ore l’anno (pari a 34,4 ore settimanali) e un tedesco lavora 1.356 ore l’anno (pari a 30,8 ore settimanali). Dal primo gennaio 2019 i metallurgici tedeschi possono lavorare 28 ore settimanali. Non a caso, l’occupazione è al 70% in Francia e al 79% in Germania. L’ italiano si ostina a lavorare 1.723 ore l’anno (pari a 39,1 ore settimanali) e, di conseguenza, il nostro tasso di occupazione è al 58%. L’italiano lavora ogni anno 354 ore più del tedesco, eppure produce il 20% in meno».
«A rigor di logica, se adottassimo lo stesso orario dei tedeschi potremmo disporre di 5,9 milioni di posti di lavoro in più e potremmo azzerare la disoccupazione dando un salario a 28,9 milioni di lavoratori invece degli attuali 23 milioni. Probabilmente produrremmo il 20% in più. Nei prossimi anni il Pnrr pomperà nella nostra economia diecine di miliardi per digitalizzarla. Digitalizzare significa sostituire lavoratori in carne e ossa con robot e con Intelligenza Artificiale. È facile prevedere che, a quel punto, se non avremo portato l’orario di lavoro sotto le 30 ore settimanali, il nostro tasso di disoccupazione (e di conflittualità) risulterà ingestibile», conclude De Masi.