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Dario Di Vico (vice direttore Corriere della Sera): «Troppi microincentivi, zero progetti»

Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera, mostra più di una perplessita sulla risposta dell’Italia alla crisi del tessuto imprenditoriale.
“All’appello – scrice – manca solo qualcuno che proponga di istituire il ministero dei Bonus. A quel punto il processo di molecolarizzazione della politica sarebbe interamente compiuto. Zero progetti, tanti coriandoli. Forse invece di promettere nuovi microincentivi ogni giorno l’esecutivo farebbe bene a monitorare cosa sta avvenendo nel sistema produttivo e da lì partire per elaborare le policy. Ad esempio – sottolinea – meritano attenzione i dati dell’indice manifatturiero Ihs-Pmi diffusi lunedì scorso e risultati migliori del previsto oppure le rilevazioni delle vendite di luglio del settore auto che segnano un rallentamento della caduta del mercato o, infine, varrebbe la pena guardare più da vicino le innovazioni implementate dal sistema delle imprese”.
Secondo Di Vico, “è utile distinguere tre differenti piani: l’andamento della produzione, l’evoluzione della domanda e la riorganizzazione dell’offerta. Cominciamo dalla produzione. Per quello che si sa, il ritmo dell’attività nelle fabbriche è ripreso in maniera sostenuta. Solo nel quarto trimestre del ’20 sapremo se le scorte avranno conosciuto la necessaria rotazione. Il secondo dei piani da tenere a mente è quello dell’evoluzione della domanda. Di fronte alle incertezze della crisi pandemica la tendenza delle famiglie è a risparmiare piuttosto che a consumare, e questo vale sia per le categorie più protette che per quelle a rischio-disoccupazione. Per stimolare la domanda il governo ha già fatto ricorso a vari bonus e ne progetta di nuovi con frequenza quasi giornaliera. Come ha osservato nei giorni scorsi l’ex ministro Giovanni Tria «c’è però bonus e bonus». Esistono quelli che vengono sbandierati per meri motivi di consenso e quelli che incidono davvero. Che spostano Pil. Chiudo con la riorganizzazione dell’offerta. E ricordo come la crisi pandemica renda contendibile quello che era un nostro grande vanto: rappresentare per valore aggiunto la seconda manifattura d’Europa. Di buono c’è che sta aumentando la consapevolezza di introdurre discontinuità nelle scelte aziendali. Il difetto è che questa riorganizzazione dell’offerta, per ora, non sembra incontrare l’attenzione che merita né provvedimenti che supportino il coraggio degli innovatori e la voglia di aggregare. In questo contesto desta però curiosità l’azione del ministro Stefano Patuanelli, che promette di de-pomiglianizzare il Mise e progetta di importare nuove competenze”.

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