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Claudio Tito (Repubblica): «La Ue teme che l’Italia non riuscirà a rispettare il Pnrr. Tante riforme in poco tempo e rischio pantano per le opere regionali»


«L’impatto dell’aumento della spesa pubblica sulla posizione fiscale dell’Italia – si legge – ammonta all’1,5% del Pil. L’Italia ha un elevato debito pubblico e ha ricevuto raccomandazioni per limitare la crescita della spesa pubblica e usare il Pnrr per finanziare gli investimenti aggiunti per la ripresa perseguendo allo stesso tempo una politica fiscale prudente».

Questo è scritto nell’ultimo “Pacchetto d’Autunno” della Commissione Europea. 

“In cui una mano approva senza rielievi il Dpb (il Documento Programmatico di Bilancio) ossia la manovra economica e l’altra lancia un avvertimento. L’Italia deve fare attenzione alla spesa corrente e al debito pubblico. Rilievi noti. Quasi scontati. Eppure inseriti formalmente in quel documento hanno assunto un altro tono. Che da voce proprio a parte della “tecnostruttura” la quale non si fida del nostro Paese. Ne vede le debolezze, ne ha paura e le evidenzia. Questa frase, appunto, non è stata inserita dagli uffici per puro caso. E’ un avvertimento”.

Lo scrive Claudio Tito, nota firma di Repubblica e oggi corrispondente da Bruxelles per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e oggi diretto da Maurizio Molinari.

“Perché? Perché i tecnici di Bruxelles sono allarmati da due nodi cruciali che si stringono intorno al nostro Paese. Il primo riguarda l’architrave del Recovery Fund. L’Italia è l’unico Paese tra i 27 ad aver chiesto l’intero pacchetto di fondi: i “grants” (ossia le sovvenzioni a fondo perduto) e i “loans” (veri e propri prestiti). Nessun degli altri 26 partner lo ha fatto. Nessuno – al momento – ha chiesto un solo euro di “loans”.

“Il secondo nodo si allaccia sempre intorno al Pnrr. Ma alla sua esecuzione. A fine anno il governo Draghi chiederà la prima tranche di finanziamento. La Commissione non ha dubbi sul raggiungimento degli obiettivi previsti per questo semestre. E quindi non ha dubbi che tra gennaio e febbraio verranno stanziati i nuovi fondi. Il problema, semmai, può emergere nel primo semestre del 2022. O almeno le attenzioni della stessa “tecnostruttura” si concentrano su quei sei mesi. Perchè gli impegni in Parlamento sono tanti. La Road map prevede l’approvazione entro marzo di una parte consistente della riforma fiscale: la Tax Compliance. A giugno poi c’è un imbuto: la presentazione della legge sulla concorrenza, l’approvazione delle legge delega sul pubblico impiego e della legge sulla prevenzione sanitaria, e quindi l’adozione con decreto del provvedimento sul dissesto idrogeologico. 

Ma soprattutto l’allarme riguarda la messa a terra delle opere. La costruzione concreta delle infrastrutture. Se una parte – quella ad esempio assegnata a società come le Ferrovie dello Stato – non desta timori particolari, ce n’è tutta un’altra che ricade sulla responsabilità delle Regioni, che non tranquillizza nessuno. E se le cosiddette milestones non vengono raggiunte, le tranche successive vanno perse” chiosa Tito. 

“Per chi trascorre tutta la sua vita nelle stanze di Palazzo Berlaymont questa eventualità non viene vissuta solo come una sconfitta italiana, ma come una sconfitta dell’Ue. Come un passo indietro rispetto alla decisione – presa con sofferenza dai paesi “frugali” di condividere una prima forma di debito. Come la rinuncia alla più grande occasione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. 

“Nessuno, nei Palazzi europei nega che tutto questo impianto regga, allo stato, perchè c’è la gigantesca assicurazione personale offerta da Mario Draghi. Una sorta di ipoteca a garanzia” conclude.

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