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[Viaggio nelle città] La formula vincente della ripartenza di Trento: dialogo e fare rete ogni giorno, nella quotidianità

Trento, a circa 200 metri sul livello del mare, è una città di 120.000 abitanti. Essa è situata nella valle del fiume Adige, che la attraversa ed ha un forte legame con i monti che la circondano.

Era una città industriale, ma la sua vocazione attuale è il terziario. Vi è un’attenzione particolare verso il turismo culturale ed escursionistico.

Per parlare della ripartenza di Trento, nel viaggio di Riparte l’Italia nelle città italiane, abbiamo posto alcune domande a Mattia Mascher, coordinatore di un centro culturale della città, il “CTolmi 24”.

Ci parli della sua città

Come molte città del suo tempo Trento vive forti contraddizioni. Da una parte occupa ormai stabilmente la parte alta delle classifiche delle città più vivibili d’Italia, più green e “smart” (per utilizzare due inglesismi che vanno molto di moda ma che spesso sembrano svuotati di veri significati), dall’altra ad esempio è ai primissimi posti per numero di auto pro-capite e uno dei comuni italiani che ha subito una maggior cementificazione negli ultimi 40 anni. E in generale, il modello di sviluppo urbanistico seguito è stato molto disarmonico e ha nel tempo creato una frattura tra centro e periferia, se non altro dal punto di vista estetico e di creazione di luoghi aggregativi.

Anche dal punto di vista culturale sembrano esserci alcuni ossimori: da una parte il contrasto fra giovani e universitari che vogliono vivere il centro storico e dall’altra i residenti esasperati dal rumore notturno e da alcuni atti di inciviltà.

Da una parte chi si continua a lamentare che “a Trento non c’è niente”, dall’altra l’emergere in realtà di molti luoghi che cultura la fanno sul serio (penso a bar culturali come la Bookique, Il Caffé della Paix, il Social Stone, a quartieri come quello di San Martino rivitalizzato da librai, baristi, commercianti e da un meraviglioso gruppo di giovani appassionati e appassionanti) e di molti festival e appuntamenti di livello anche internazionale (dal Festival dell’economia,  al Trento Film Festival, passando per Tutti nello Stesso Piatto – un meraviglioso Festival internazionale di cinema cibo e videodiversità organizzato dalla cooperativa Mandacarù, fino agli eventi che gravito intorno al Muse e agli altri musei della città).

Credo che un profondo atto di maturità da parte della città possa avvenire cominciando a guardare in faccia queste contraddizioni, prendendone consapevolezza. Premetto che non sono un sociologo o un esperto e non posso esprimere una opinione tecnica, ma solo “un sentire”. Se posso però azzardare un commento credo che ci sia ancora una forte polarizzazione culturale all’interno della cittadinanza. Sembra ci siano due mondi separati. Uno con un solido capitale economico, sociale e culturale e l’altro con molte meno risorse. Insomma, per farla breve sono sempre gli stessi che conoscono e godono dell’offerta culturale della città.

Ecco, io mi sono occupato negli ultimi anni anche di “povertà educative” nei minori. E credo si debba partire proprio da lì per ridurre il divario. Troppo spesso anche solo arrivare a sapere che ci sono certe opportunità richiede la fortuna di esser “nati” o “cresciuti” nella metà “ricca” della città.

Come ha affrontato Trento la pandemia di covid?

Non vorrei dare giudizi affrettati. E’ passato ancora troppo poco tempo per una analisi effettiva. Così “a pancia” mi sembra meglio che in altri territori. E questo da una parte credo grazie alla fortissima vocazione sociale e associazionistica del nostro territorio. In generale, la nostra provincia si posiziona, infatti, ai vertici nei grafici Istat in materia volontariato e non profit. Sono oltre 3.500 le associazioni attive e impegnate in questo comparto. Un percorso collettivo e connettivo che affonda le radici anche nell’orografia delle valli, un tempo isolate. I territori hanno trovato nel tessuto associativo un modo per svilupparsi e lottare contro le difficoltà. E’ una grandissima ricchezza della nostra provincia che bisogna difendere. Non a caso, uno dei più importanti e storici movimenti cooperativi italiani è nato proprio in Trentino e proprio in un momento storico di estrema criticità.

Dall’altra non va dimenticato che siamo una provincia autonoma e che possiamo godere di risorse economiche aggiuntive. Anche il sostegno al terzo settore da parte del pubblico, nonostante i crescenti tagli dell’ultimo decennio, ha avuto un ruolo importante: la spesa sociale pro-capite posiziona la provincia di Trento ai primissimi posti in Italia. 

E’ importante però evitare politiche di sostegno a pioggia e premiare invece progetti realmente validi, in particolare quelli che uniscono più reti di soggetti. Il confronto e il mutuo aiuto fra tutti gli stakeholder in un momento di così grande crisi, è forse la chiave per riuscire a rialzarsi in fretta e ripartire.

Ad ogni modo bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo per rispondere bene alla domanda. E’ ancora tutto così troppo “vicino”. Gli effetti veri si vedranno nel medio-lungo periodo. Alcuni dati però ci fanno già capire la situazione attuale: a Trento nel solo 2020 hanno chiuso 62 negozi. Il settore culturale e dell’intrattenimento hanno perso il 70% di fatturato in Trentino. Una voragine. Quello che so con certezza, invece, è che da soli non se ne esce. Bisogna come dicevo trovare nuove forme di solidarietà territoriale, anche e soprattutto intrasettoriale.

Può fornire delle idee sulla ripartenza della città nel campo culturale?

Servono finanziamenti pubblici. Servirà gestire bene e in modo oculato i fondi del Recovery Fund. Servirà soprattutto smettere di vedere la cultura come ultima ruota del carro economico. Dobbiamo invece iniziare a percepirla come il reale plusvalore dei nostri territori. Come un investimento per favorire creatività,  “ricchezza” e circolazione delle informazioni che contano.

Inoltre, la cultura dovrà essere strettamente collegata al tema della sostenibilità ambientale. Eventi, festival e spettacoli dovranno ragionare sui propri impatti ambientali e unire risorse ed esperienze per essere più innovativi, eco-sostenibili e in questo modo attrarre così anche maggiori finanziamenti.

Servirà infine, come detto inizialmente, partire anche e soprattutto da una “educazione” alla cultura nei più giovani. E questo comporta una nuova alleanza fra tutti i componenti della “comunità educante”: scuole, associazioni sportive, centri aggregativi, famiglie, etc.  

Quale pensa che sia la componente caratteriale, del posto in cui vive, che può incidere maggiormente per superare questa crisi?

Ogni volta che una popolazione subisce una tragedia, si fa riferimento al carattere “speciale” dei cittadini di quel luogo: tenacia, coraggio, solidarietà, capacità di rimboccarsi le maniche. Credo sia un meccanismo psicologico normale per farsi forza nei momenti difficili. Per trovare una riserva di energia. Più che di “carattere” però c’è bisogno di una “postura”, di un modo di vedere la realtà e di agire che sia duraturo nel tempo. Questa postura è il dialogo, il confronto e quel famoso “fare rete” che troppo spesso vediamo come slogan nei salotti formativi, o al massimo buono per vincere qualche bando, e che invece dovrebbe essere una pratica quotidiana. Faticosa sì, ma indispensabile.

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