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Renato Mazzoncini, AD A2A: “Va aumentata l’efficienza della rete distributiva dell’acqua”

“Per lungo tempo l’Italia ha potuto contare su una disponibilità di acqua superiore alle necessità e questo ha portato ad abbassare l’attenzione sul tema dell’efficienza, a non prendercene abbastanza cura.

Ora che siamo alle prese con stagioni siccitose, ci scopriamo impreparati, ma non è ancora tardi per rimediare”.

Renato Mazzoncini, amministratore delegato e direttore generale di A2A, in un’intervista ad Affari&Finanza di Repubblica, invita ad affrontare l’emergenza idrica con pragmatismo.

Il che significa fondamentalmente inquadrare i problemi quando si presentano, studiare gli spazi di manovra e quindi agire, programmando gli investimenti con realismo, anche in considerazione dei limiti di chi sarà poi chiamato a “mettere a terra” le iniziative programmate.

“L’abbondanza di acqua è stato un fattore determinante nella storia italiana.

Siamo sempre stati poveri di altre materie prime come ad esempio ferro e terre rare, ma la disponibilità idrica non ha mai fatto difetto e questo spiega anche lo sviluppo di attività economiche che richiedono un massiccio impiego di questa risorsa come ad esempio l’industria o l’agricoltura che generano importanti ricadute positive sul nostro Pil”, ricorda il manager.

In Italia registriamo un consumo medio pro-capite di acqua di quasi 170 litri al giorno – con punte che superano i 200 in alcune aree del nostro Paese – contro i 70 dei tedeschi.

Un differenziale che si spiega non con una nostra maggiore propensione alla pulizia, ma esclusivamente alla luce di una minore attenzione verso gli sprechi.

“Sebbene circa il 42% della quantità immessa negli acquedotti venga dispersa, a lungo non abbiamo avuto problemi di accesso alla materia prima”, ribadisce Mazzoncini.

Il quale parla al passato, in quanto negli ultimi anni i cambiamenti climatici hanno modificato radicalmente lo scenario e, senza un cambio di rotta deciso nella gestione delle infrastrutture – sia del ciclo idrico ma anche della produzione di energia idroelettrica – l’Italia rischia di perdere oltre il 9% del suo Pil, cioè della ricchezza prodotta ogni anno.

Cosa fare in concreto per evitare questo scenario?

“Occorre innanzitutto aumentare l’efficienza della rete distributiva, quindi assicurare la depurazione dell’acqua, che consentirebbe di riutilizzare la risorsa sia per usi industriali, sia in agricoltura.

Lo spazio per agire c’è, dato che oggi un milione di italiani vive in località senza impianti di depurazione e molti altri devono fare i conti con infrastrutture ormai vetuste”, aggiunge il numero uno del gruppo, che ha chiuso il primo semestre con il margine operativo lordo a 880 milioni di euro, segnando un +26% rispetto allo stesso periodo del 2022, mentre l’utile netto ordinario ha fatto un balzo in avanti nell’ordine del 32%, raggiungendo i 257 milioni.

In parallelo gli investimenti sono aumentati nell’ordine del 7% da un anno all’altro, arrivando a quota 494 milioni di euro.

Per invertire la rotta, nella visione di Mazzoncini un contributo importante potrebbe arrivare da una maggior consapevolezza nell’utilizzo dell’acqua che “in Italia costa circa un terzo rispetto alla Germania pur a fronte di bollette che sostanzialmente si equivalgono, il che sta a indicare una differente attenzione a evitare gli sprechi”.

Dunque, cosa ostacola l’efficientamento del servizio idrico?

Pesa la carenza di risorse pubbliche o la tradizionale difficoltà del nostro Paese ad attrarre investimenti da parte dei privati?

“Il nodo non è finanziario, dato che le tariffe vengono fissate da un’autorità indipendente – l’Arera – che remunera gli investimenti a tassi di mercato e ci sono aziende disposte a investire”, risponde l’amministratore delegato, spiegando che “piuttosto pesa la forte frammentazione degli operatori del servizio idrico”.

Il riferimento è alla presenza nella Penisola di oltre 2.000 player, a spanne un quarto dei comuni italiani, di cui 1.700 a gestione diretta delle stesse amministrazioni comunali, impossibilitate a investire per i vincoli legati al Patto di Stabilità.

A completare il quadro c’è qualche azienda a capitale misto e pochissimi operatori industriali, che agiscono pertanto secondo i principi del mercato.

“In uno scenario come questo si fatica a mettere in campo progetti adeguati di rinnovamento delle reti.

Non a caso nel nostro Paese gli investimenti si aggirano intorno ai 50 euro pro-capite a fronte di una media europea di circa 80 euro”, spiega l’ad.

“Ci sono limiti evidenti” dal lato dell’offerta “legati non solo alla burocrazia ma anche al reinterpretare gli esiti del referendum del 2011, che riserva i nuovi affidamenti per la gestione del servizio ai soli soggetti pubblici”, aggiunge Mazzoncini, sottolineando che “c’è poi il capitolo degli importanti investimenti da destinare al settore idroelettrico, per cercare di recuperare la perdita di produzione registrata negli ultimi anni a causa degli effetti del climate change.

Anche in questo caso gli operatori del settore sono pronti a investire potendo contare su concessioni più lunghe”.

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