Rileggendo a mente fredda i comunicati della Casa Bianca e del Cremlino – commenta su Repubblica Paolo Garimberti – si ha la conferma della sensazione emersa dagli incontri diplomatici che avevano preceduto la lunga telefonata tra i due presidenti.
Vladimir Putin sta giocando al gatto con il topo nel confronto con Donald Trump. Dato che uno si è formato alla scuola dell’inganno e della disinformazione del KGB e l’altro a quella del mercato immobiliare di Manhattan, non è difficile immaginare chi sia più attrezzato quando in gioco ci sono non grattacieli, ma guerra e pace.
Il comunicato della Casa Bianca, partendo dal consenso allo stop di trenta giorni degli attacchi alle infrastrutture energetiche (piccolo passo rispetto all’obiettivo trumpiano di un cessate il fuoco totale), trasudava soddisfazione e ottimismo, definendo la telefonata “un contratto per la pace” e parlando di un percorso “a tutta forza” verso l’accordo.
Il Cremlino, invece, faceva ricorso a una vecchia formula dell’era sovietica quando si voleva sottolineare che le divergenze superavano le convergenze: “Scambio di opinioni franco e dettagliato”.
E proprio nei dettagli stava il diavolo: una serie di condizioni (dalla fine dell’invio di armi da parte dell’Occidente fino al blocco della fornitura di dati di intelligence) inaccettabili per l’Ucraina, ma anche per i suoi alleati europei.
“Negoziare la fine di un conflitto è un lavoro complicato e noioso, che richiede pazienza e creatività. Invece Trump sembra impaziente di sbarazzarsi della guerra in Ucraina, vuole solo uscirne”, è l’analisi confidata al Financial Times da Max Bergmann del Center for Strategic and International Studies.
Ieri, nel suo intervento alla Camera, la presidente Meloni è andata controcorrente rispetto alla maggioranza degli analisti di politica internazionale definendo Trump “un leader forte capace di garantire una pace duratura”.
Il futuro dirà chi ha ragione. Il presente dice che Trump non è riuscito a ottenere da Putin neppure una tregua.