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[L’Intervento] Margherita Pittalis (Professore Diritto Sportivo): «Il caso Superlega e la ripartenza dello sport nel contesto dell’Europa e dell’ordinamento sportivo internazionale»

Nella riunione del 26 aprile il Consiglio federale della FIGC ha approvato una rilevante modifica dell’art. 16 delle NOIF riguardante i casi di decadenza e revoca della affiliazione delle società sportive, così integrandolo: “Ai fini dell’iscrizione al campionato la società si impegna a non partecipare a competizioni organizzate da associazioni private non riconosciute dalla FIFA, dalla UEFA e dalla FIGC. La partecipazione a competizioni organizzate da associazioni private non riconosciute dalla FIFA, dalla UEFA e dalla FIGC comporta la decadenza della affiliazione”; la modifica prevede altresì che “la disputa di gare e tornei amichevoli senza l’autorizzazione della FIGC comporta la decadenza della affiliazione”. 

La richiamata disposizione federale, quindi, così come da ultimo formulata, pone alle società sportive un vincolo per così dire di “istituzionalizzazione specifica” di ogni e qualsivoglia competizione, precludendo infatti l’adesione a competizioni – oltre che a singole gare – che non vengano organizzate da specifiche istituzioni sportive, quali appunto FIFA, UEFA E FIGC.

Una tale previsione, a ben vedere, non può essere valutata nella sua effettiva portata se non considerandone la collocazione non tanto e non soltanto nel quadro dell’attuale sistema calcistico nazionale e sovranazionale, bensì nel quadro del sistema sportivo complessivamente considerato, e quindi individuando come imprescindibile fondamento istituzionale sotto la cui lente esaminare possibili soluzioni, l’organismo che la stessa L. 17 ottobre 2003, n. 280 (art. 1, 1 comma), pone al vertice dell’ordinamento sportivo internazionale, e cioè il Comitato Olimpico Internazionale (C.I.O.), da cui trae la propria originarietà la stessa autonomia dell’ordinamento sportivo italiano.

Ebbene, la fonte primaria e fondante l’intero sistema sportivo istituzionale a livello globale è la Carta Olimpica (nella sua ultima versione del 17 luglio 2020), la quale è informata ad un inequivocabile principio di “atipicità” degli enti indipendenti e non governativi, idonei a fungere da organismi istituzionali di natura associativa con caratteristiche prevalentemente non profit, e che, se ed in quanto muniti del riconoscimento formale del CIO, oltre che caratterizzati dalla mancanza del precipuo fine lucrativo, possano costituire nuovi centri di organizzazione e gestione dello sport a tutti i livelli ovvero essere preposti a specifici ambiti sportivi.

Di qui, l’evidente contraddittorietà riscontrabile a questo punto nel sistema, laddove si rinviene, da un lato, la previsione da parte dell’Ente di vertice dello Sport a livello mondiale, e cioè il CIO, del principio, posto addirittura fra quelli definiti dalla Carta Olimpica “Fondamentali”, per cui gli enti istituzionali di cui si è detto possono costituirsi liberamente, mentre, dall’altro, si rinviene la disposizione dell’art. 16 delle NOIF italiane, di rango gerarchico sottoordinato, che pone un antitetico principio di tipicità non solo per gli enti preposti ad istituire e gestire nuove competizioni strutturate, ma altresì e addirittura per la mera organizzazione di gare e tornei amichevoli.

Tale previsione federale, peraltro, oltre a porsi in contrasto con l’ordinamento generale italiano, che all’art. 18 della propria Carta Costituzionale prevede nella esplicazione della propria sovranità la libertà di associazione fra i “diritti e doveri dei cittadini”, e oltre a confliggere ancor prima con il Principio fondamentale di cui all’art. 2 della medesima Carta, ove si rinviene il fondamento garantistico di tutti i “corpi intermedi” (Rescigno, “Persona e comunità”, 1987), si pone altresì in direzione del tutto contraria alla essenziale spontaneità del fenomeno sportivo, così recepita e valorizzata dalla Carta Olimpica, fenomeno peraltro necessitato, ove porti alla nascita di nuovi enti sportivi esponenziali di fenomeni strutturati, a conseguire l’imprescindibile riconoscimento formale da parte del CIO.

In presenza di tali contesti, peraltro, la stessa Carta fondante dello Sport non impone come imprescindibile la creazione di nuove entità istituzionali, bensì prevede addirittura la possibilità che nuove iniziative strutturate e competizioni trovino come ente esponenziale lo stesso CIO.

Di qui, non solo la discutibile legittimità dell’art. 16 delle NOIF, ma anche la conseguenza dell’imprescindibile ripensamento a livello internazionale anche dei sistemi di tutte le altre discipline sportive, fra le quali è opportuno menzionare il sistema del basket, ove si registra addirittura una società di capitali, la Euroleague Commercial Assets S.A. (E.C.A.), cessionaria della Union des Ligues Européennes de Basket-ball, o U.L.E.B., che è al vertice della Euroleague, e con il suo consiglio di amministrazione decide i criteri di partecipazione alla relativa competizione.

Situazione che sarebbe peraltro ineccepibile ove rivestisse la forma costitutiva di una organizzazione indipendente, non governativa, ma tuttavia non profit, e non si trattasse invece di una società di capitali con un consiglio di amministrazione che potrebbe in linea di principio deliberare la modifica dei criteri delle proprie competizioni senza un formale avallo da parte del CIO o di enti od organi istituzionali sportivi a ciò preposti, quali garanti del necessario costante rispetto dei criteri di “sportività” sanciti dalla Carta Olimpica.

Si eviterebbe in tal modo la non ancora sopita contesa (anche in termini di avvenuta appropriazione da parte di ULEB e poi di ECA del marchio Euroleague) fra ECA da una parte, e FIBA Europe e FIBA dall’altra, circa la legittimazione a istituire e gestire le gare di basket a livello europeo.

Ben venga dunque, poiché certamente potrà contribuire alla ripartenza del sistema calcistico, su scala non solo italiana ed europea, ma anche globale, ed altresì alla ripartenza – nella medesima estensione di scala – di ogni altra disciplina sportiva, la Superlega, ma ciò, a condizione che detta competizione venga sentita dal sistema calcistico e soprattutto dalla tifoseria di uno sport popolare e non elitario come il calcio, come una vera e propria “pelle”, e non come un vestito stretto, subìto dal pubblico senza alcun confronto né collegamento con la sua base e con le sue effettive esigenze di sportività e di spettacolarità.

A tal riguardo, quindi, certamente occorrerebbe introdurre nella normativa federale di settore un vincolo di istituzionalizzazione, sì, ma un vincolo che fosse tuttavia di natura non specifica, bensì generica ed atipica, vale a dire un vincolo volto a far comunque confluire ogni nuova iniziativa competitiva organizzata in un ente associativo esponenziale non governativo e indipendente di natura non profit, se pure compatibile con l’esercizio comunque non prioritario di attività economiche volte esclusivamente alla miglior gestione organizzativa delle relative gare e campionati; un ente  istituzionale eventualmente anche diverso e svincolato da FIFA, UEFA o FIGC, od anche direttamente collegato al CIO, che si faccia quindi garante del rispetto, da parte del sistema sportivo di settore di cui sia esponenziale, di ben precisi criteri di sportività da ricercarsi – anche per implicito – nella Carta Olimpica.

Quanto invece alle semplici gare e tornei amichevoli, il relativo ambito dovrebbe rimanere governato dalla spontanea aggregazione di singole società ed associazioni sportive anche eterogenee e non necessariamente tutte del medesimo Paese o livello atletico, in posizione di semplici organizzatrici di gare “del cuore” o tornei di analoga natura, con ricavati destinati alla promozione di iniziative giovanili agonistiche o anche solo didattiche e formative, ovvero od anche alla beneficienza.

Un ulteriore vincolo sarebbe peraltro auspicabile, e cioè quello del coinvolgimento della tifoseria specialmente in caso di istituzione di nuove competizioni organizzate, esplicabile o con il vero e proprio azionariato popolare secondo il modello attuato dalle squadre inglesi, spagnole e tedesche, oppure, come prevede all’art. 13 del D. Lgs. n. 36/2021 (in attuazione della Legge Delega n. 86 del 2019) la neonata Riforma dello Sport vigente dallo scorso 6 aprile, istituendo in ciascuna società professionistica un organo rappresentativo della tifoseria, da cui acquisire obbligatoriamente un parere, peraltro non vincolante, in merito alle varie iniziative.

Quanto poi ai criteri di partecipazione alla Superlega calcistica, analogamente a quanto attuato nel basket europeo da ECA, un utile contributo si potrebbe trarre, in linea meramente analogica, da alcune delle direttrici normative generali, italiane e non, in tema di ripartizione dei proventi della cessione dei diritti audiovisivi sulle partite, cui è sotteso il principio dell’equilibrio competitivo; criteri, quali, ad esempio, quello meritocratico connesso ai risultati sportivi conseguiti in altri campionati organizzati, e quello del c.d. “radicamento sociale”, cioè della consistenza del pubblico di riferimento di ciascuna squadra da ammettersi al nuovo campionato.

Nessuna preclusione dunque di principio ad una Superlega europea fuori dal contesto della UEFA, neppure in considerazione del discutibile – alla luce di quanto più sopra si è argomentato – disposto dell’art. 49 dello Statuto UEFA, che avoca a quest’ultima la giurisdizione esclusiva nell’organizzazione di competizioni ufficiali in Europa, senza peraltro che alcuna fonte né Istituzione sportiva gerarchicamente sovraordinata appaia conferirgliela.

Appare tuttavia incompatibile con la Carta Olimpica e con l’intero sistema sportivo una Superlega, come quella recentemente creata e sopravvissuta per neppure 48 ore, creata con un “colpo di scena” secondo una logica tipicamente “contrattuale” – e non inclusiva come dovrebbe essere quella autenticamente “sportiva” – alla cui stregua divenivano “parti” dell’accordo soltanto i Paesi e le squadre che ne vedessero la convenienza economica, addirittura con la previsione di pesanti sanzioni pecuniarie per chi dei partecipanti abbandonasse il progetto prima del 2025, oltre che con un completo scollamento dalla potenziale tifoseria, del tutto inconsapevole della iniziativa.

Discutibile quindi l’approvazione dell’art. 16 delle NOIF come da ultimo modificato, ed impugnabile alla luce dei principi della libera concorrenza, valevoli anche per le Istituzioni sportive per espressi orientamenti e decisioni della Commissione europea, che anche in occasione della Coppa del Mondo di Calcio del 1998, oltre che a seguire in altre occasioni, ne ha riconosciuto la natura imprenditoriale ai sensi dei Trattati sull’Unione, con piena applicabilità della normativa antitrust.

Connotata altresì a cascata da caducità appare altresì, alla luce di quanto sin qui argomentato, la disposizione della norma federale in discussione, laddove commina a chi partecipi a competizioni organizzate al di fuori dei canali istituzionali tipici (FIFA, UEFA, FIGC) la sanzione della decadenza della affiliazione – e verrebbe da aggiungere anche del tesseramento per gli stessi atleti, se non li si ritenesse invece, come appare corretto, preservati da tale potenziale sanzione dal precedente liberalizzante del calciatore Bosman oltre che da una ben più recente decisione assunta nel 2017 dalla commissione esecutiva dell’Unione Europea con riguardo alla Federazione internazionale di pattinaggio – decadenza, che addirittura farebbe perdere alla società sportiva la soggettività di diritto sportivo.

Corretta appare dunque la decisione precauzionale assunta il 24 aprile dal Tribunale di Madrid al quale si è rivolta la European Super League Company SL, società costituita dai 12 club fondatori della Superlega calcistica, al fine di tutelarsi nei confronti di eventuali sanzioni da parte di altri organismi, decisione che ordina alla UEFA e alla FIFA di astenersi e di far astenere anche le proprie associate – comprese espressamente le federazioni sportive nazionali – dall’adottare qualsiasi tipo di strumento normativo, misura e/o dichiarazione, che impediscano od anche solo ostacolino o complichino direttamente o indirettamente la nascita e la preparazione della Superlega, e/o che sanzionino in alcun modo club e/o giocatori che vi partecipino, ad esempio precludendone la partecipazione a competizioni internazionali o nazionali.

Questa decisione, come ha affermato il Presidente Perez del Real Madrid, pone fine al “monopolio” della UEFA sui campionati europei, e le dichiarazioni da ultimo rese dal Presidente Ceferin verrebbero a porsi in senso contrario al principio cardine della libera concorrenza nell’Unione europea.

La sentenza, del resto, era stata preceduta da analoga pronuncia del 2 giugno 2016 del Tribunale di Monaco di Baviera, foro competente per le decisioni imposte nel basket da FIBA e FIBA Europe, di sanzionare club, leghe nazionali o federazioni nazionali nel caso in cui i loro club decidessero di partecipare all’Eurolega o alla Eurocup.

In questa decisione precauzionale, che rappresenta il precedente nel settore della pallacanestro che si attaglia perfettamente al caso Superlega nel calcio, il giudice ha fatto divieto a FIBA Europe e a FIBA di sanzionare o minacciare sanzioni direttamente o indirettamente nei confronti dei club di Eurolega ed Eurocup, nonché nei confronti degli altri club di pallacanestro nell’area geografica di FIBA Europe, oltre che nei confronti di Federazioni Nazionali di Pallacanestro nell’area geografica di FIBA Europe, ovvero di leghe di pallacanestro nazionali o sovranazionali nell’area geografica di FIBA Europe, a causa della eventuale deliberazione da parte di dette entità di cooperare con Euroleague Commercial Assets C.A. e sue controllate, ed ha paventato sanzioni di natura pecuniaria e/o addirittura restrittive della libertà personale per ogni violazione del divieto di impedire od ostacolare la nascita e/o lo sviluppo di dette competizioni europee.  

Potrebbe quindi trarsi dalla vicenda Superlega lo spunto per riflettere che “indietro non si torna” quasi mai, e che, per dirla con Hegel, ad una tesi (il progetto iniziale della Superlega) si contrappone una antitesi (l’opposizione delle Istituzioni sportive ma soprattutto la vera e propria rivolta dei tifosi europei), e ne consegue sempre una sintesi: sintesi che, nel caso di specie, deve appunto essere una Superlega che coniughi fra loro le due funzioni primarie dello sport, quella economica, certamente sì, ma altresì quella sociale, che il Libro Bianco sullo Sport, creatura della Commissione Europea del 2007, valorizza in maniera primaria.

E certamente la sfida che l’attuale epoca storica pone al sistema sportivo è quella del virtuale e degli è-sports, sempre più seguiti dalla tifoseria delle squadre più blasonate e quindi sempre più concorrenziali rispetto al mondo degli sport “reali”, con compensi per giocatori meno che ventenni a dir poco da capogiro, dove la funzione sociale ed in ispecie “educativa” oltre che “salutare” dello “sport” sarebbe tutta da verificare in maniera approfonditamente scientifica e soprattutto medica, al fine di preservare i giovanissimi dalle minacce – anche da quelle “sportive” – del nostro tempo.

Queste infatti, sempre a mente del Libro Bianco, sono rappresentate per la giovane popolazione essenzialmente dalla “pressione commerciale”, “dallo sfruttamento dei giovani giocatori”, dal “doping”, dalla “corruzione” e – viene da aggiungere – dalla dipendenza psichica, ove non si pongano limiti agli organizzatori di ogni livello di dette competizioni, quali, a mero esempio, il contenimento della durata e della velocità delle singole gare in relazione alla età ed alle condizioni di salute psicofisica dei singoli giocatori.

Al riguardo, si segnala infatti che molto opportunamente il CIO, nell’inserire nel Movimento Olimpico anche i “virtual sports” con la propria Olimpic Agenda 2020+5, contenente n. 15 Recommendations, finalizzate ad assicurare allo sport “greater solidarity, further digitalisation, increased sustainability, strengthened credibility and a reinforced focus on the role of sport in society”, nella raccomandazione n. 9, preordinata a “encourage the development of virtual sports and further engage with video gaming communities”, ha fatto leva sulla crescente popolarità dello sport virtuale per promuovere il Movimento Olimpico, i valori Olimpici, la partecipazione e la crescita del rapporto dello sport con le giovani generazioni, per raccomandare in particolare che i software e gli strumenti digitali relativi agli atleti olimpici nella comunità delle competizioni “sportive” virtuali siano idonei a supportare il loro benessere “physical and mental”.

Nella attuale epoca, in cui si fa di tutto per rendere il tifoso sempre più incollato ad un video per seguire lo sport attraverso mass media e computer, occorre dare il benvenuto alla Riforma dello Sport appena entrata in vigore, che nel D. Lgs, n. 38, dedicato al “riordino e alla riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”, prevede numerose e rilevantissime misure per riqualificare la impiantistica sportiva e promuovere la realizzazione di stadi “di proprietà” tanto diffusi in tutto il mondo e al momento soltanto n. 5 in Italia.

Una ripartenza italiana incoraggiata davvero a tutto “campo”, poiché la sfida fra sport reale e sport virtuale dovrebbe auspicabilmente veder prevalere il primo, ben più in linea con i molteplici valori benefici dello sport, quale “metafora della vita”.

Certamente la funzione economica dello sport va valorizzata, come infatti lo è – e visibilmente – nello stesso Libro Bianco, ma, al fine di una effettiva ripartenza di tutto lo sport (oltre che del calcio), quantomeno – ma non solo – italiano, occorre porsi il problema della sostenibilità economica dello stesso e del contenimento dei costi delle società sportive, come lo stesso Presidente Gravina mostra di aver a cuore avendo infatti proposto che a partire dalla stagione 2021-2022 non venga superato il tetto dell’80% dei costi in rapporto al monte ricavi.

A tal fine, occorrerebbe attuare un fair play finanziario realmente efficace e stringente, prevedendo adeguate misure di contenimento dei corrispettivi del calciomercato, delle retribuzioni e dei compensi di atleti e tecnici, oltre che delle parimenti elevatissime commissioni dei relativi agenti. Sarebbe, questa, una soluzione assolutamente auspicabile in funzione di un’autentica ripartenza che non faccia “implodere” il sistema sportivo, come la stessa nascita a sorpresa della repentinamente tramontata Superlega di qualche giorno fa ha dimostrato.

Ed ora, in chiusura, dopo le tante citazioni in lingua “straniera”, e soprattutto per una effettiva ripartenza che tenga doverosamente conto dei processi della storia e del passato, è arrivato finalmente il momento di fare doveroso richiamo alle nostre radici italiane ma anche europee, e chiederci con il lapidario motto di Giovenale: “quis custodiet ipsos custodes”?

Chi custodirà, e con quali criteri di sportività, la nuova appassionante Superlega da far auspicabilmente nascere?

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