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L’Unione Europea è afflitta dalla paralisi dell’unanimità | L’analisi di Francesco Grillo

L’abbattimento del totem dell’unanimità è da tempo considerato la tappa decisiva nel processo di integrazione europea. Sono gli ultimi tre anni di crisi sempre più veloci ed intense ad averne però dimostrato definitivamente l’urgenza. Oggi, a chiedere un’Europa capace di decidere senza veti, non sono soli i “federalisti”, ma anche conservatori e moderati, che capiscono che una maggiore velocità è condizione di sopravvivenza.

Tuttavia, le vere divisioni sono al livello di Paesi e non di partiti: il gruppo di amici del voto a maggioranza qualificata, l’iniziativa promossa appunto per il superamento dell’unanimità aggrega i Paesi più grandi (i sei fondatori, ai quali si aggiungono Spagna, Finlandia e Slovenia) e, però, appena un terzo dei 27 che dobbiamo convincere. Per ragionare di futuro dell’Europa, si terrà da domani a venerdì una conferenza a Siena alla quale partecipano i Think tank dei maggiori gruppi politici europei.

Il grimaldello per superare l’impasse esiste e si chiama flessibilità trasparente. L’Ue del ventunesimo secolo non potrà essere continuamente impegnata in negoziazioni senza fine con il più recalcitrante dei suoi membri (non è vero che è sempre l’Ungheria). Deve poter essere possibile decidere a maggioranza qualificata anche su tutti i dossier (politica estera, ma anche armonizzazione fiscale) e, tuttavia, gli Stati dissenzienti dovrebbero poter conservare il diritto di non aderire alla specifica decisione e non subirne conseguenze significative.

Sull’adesione alle politiche più rilevanti (ad esempio, creazione di un’unica regolamentazione comune sui richiedenti asilo) potrebbe essere utile chiedere il consenso popolare per rendere più forte la scelta. E, comunque, i singoli Stati devono poter conservare il diritto di recedere da un’intesa se cambiassero le condizioni, pagandone un costo prevedibile e attraverso meccanismi predefiniti (cosa che non è successo per la caotica Brexit). L’Ue soffre di un eccesso di retorica e ambiguità. Assomiglia a quei matrimoni italiani degli anni Sessanta dai quali non si poteva uscire e che erano fondati su un’idea di unione che spesso si consumava in tradimenti continui. L’Europa ha bisogno di pragmatismo e visione per superare la crisi di crescita alla quale un secolo veloce la inchioda.

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