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L’uguaglianza sostanziale che serve all’Italia e i buoni frammenti della cooperazione e dello sviluppo | L’analisi

Il volume di Stefano Glinianski intitolato Frammenti ci conduce, attraverso una serie di toccanti fotografie, lungo un viaggio intriso di solidarietà, recando una chiara testimonianza di quanto di buono il nostro Paese «produce» in termini di cooperazione e di sviluppo.

Il sostantivo frammenti deriva dal latino fragmentum e sta a designare i singoli pezzi di un oggetto rotto. Sono noti i frammenti di Eraclito, di cui si ignora ancor oggi se essi valessero a comporre un’unica opera o trovassero spazio e collocazione in contesti diversi. Eppure, da quei frammenti si è riusciti ad elaborare il nucleo della filosofia eraclitea, mettendo in risalto i temi maggiormente ricorrenti.

L’impiego del termine frammenti potrebbe indurre a pensare che alla base campeggi l’idea di un qualcosa che si è frantumato, perdendo la sua perfezione così come dettata dall’unità dell’insieme. Se fosse così l’utilizzo si risolverebbe in una denuncia di quel che di negativo vi è in ogni fenomeno di rottura rispetto a un quanto armonicamente costruito e consolidato.

Ma non è così, almeno non è questo che l’Autore di questi scatti intende esprimere. Oserei dire che è l’esatto opposto. Vi è alla base una visione imperniata su un’impostazione pluralistica, così come filtrata dagli occhi attraverso cui ciascuno di noi guarda ai fatti, agli accadimenti della vita, alle bellezze della natura, agli sfasci della contemporaneità.

Di qui il richiamo all’aforisma di Nietzsche non esistono fatti, ma interpretazioni, a segnalare la portata condizionante del particolare approccio soggettivo di ognuno, l’impossibilità di assolutizzare pensando in modo del tutto autoreferenziale che la quotidiana realtà nella quale siamo singolarmente immersi costituisca la realtà oggettiva. Ci si potrebbe al riguardo domandare, in modo del tutto retorico, come sia possibile qualificare in termini di oggettività quel che viene osservato attraverso una particolare – quella in cui ciascuno di pone – visuale prospettica.

John Dewey, del resto, nel suo celebre volume Arte come esperienza ha messo in luce come l’esperienza sia il frutto dell’interazione dell’artista con l’ambiente di riferimento, rappresentando al tempo stesso l’azione e la conseguenza della medesima.

Un chiarimento nondimeno si impone. Il pluralismo non va confuso con il relativismo, vale a dire a quel fenomeno, nitidamente descritto dal filosofo Giulio Giorello, della totale equipollenza dei valori e delle culture, in cui la tolleranza si trasforma in arrendevolezza, la consapevolezza in resa, così evocando la figura mitica del serpente che, dopo aver mangiato tutto, mangia se stesso.

Il volume ci illumina sulle diversità, da concepire, non già come non pochi stolti sono sovente portati a fare alla stregua di fattori di competizioni – secondo anacronistiche logiche particolaristiche e localistiche – o, peggio ancora, di discriminazione, bensì come elementi di arricchimento di ognuno. Cosicché tutti siamo chiamati a confrontarci con una realtà plurale, effervescente e densa di stimoli.

Al tempo stesso il lavoro di Stefano Gliniansky – il cui merito consiste altresì nella devoluzione del ricavato in beneficenza alla Comunità Sant’Egidio – rende pressante il dovere, che su tutti, nessuno escluso, grava, di farsi portatori di un principio di uguaglianza che non sia solo enunciato e sbandierato, ma effettivamente, concretamente ed efficacemente attuato, anche sotto il profilo delle opportunità che ad ogni essere umano devono essere garantite di pieno e libero sviluppo della persona umana.

Viviamo un’epoca fortemente connotata dall’affermazione dei diritti fondamentali, ancor prima che a livello di singoli Stati, sul piano internazionale. Al tempo stesso – il che genera un inspiegabile paradosso – stiamo assistendo senza soluzione di continuità all’acuirsi dei divari sociali, all’aumento esponenziale delle povertà (che ormai riguardano anche soggetti differenti da quelli ai quali ordinariamente pensiamo: si pensi solo al fenomeno del c.d. lavoro povero), a un inquinamento che in modo deflagrante sta portando un attacco letale al bene fondamentale della salute.

A poco vale affermare solennemente il diritto alla salute, come fa l’art. 32 Cost., se si assiste alla carenza di ogni sensibilità sul tema, e questo solo perché non di immediato e deflagrante impatto come può essere, ad esempio, una violenza, una frana o una sommossa.

Ci ammoniva giustamente Norberto Bobbio che la questione dei diritti fondamentali non è ormai legata alla loro affermazione, bensì alla loro attuazione. Il che, mi pare di poter affermare, è ancor più vero nell’attuale contingenza storica.

Sono foto quelle raccolte nel volume che ci parlano – con chiara distonia rispetto ai vizi e alle degenerazioni della contemporaneità – di qualcosa di incontaminato: i sorrisi folgoranti e gli sguardi penetranti dei bambini; la semplicità, la sincerità e la fierezza dei popoli; la straordinaria bellezza della natura, qua e là deturpata degli interventi degli esseri umani; la condivisione, tra individui, tra costoro e la natura.

Sono foto attraverso le quali, senza infingimenti, si percepisce che la bellezza e la serenità nascono dal basso e non potranno mai essere il frutto – se non a prezzo di una ingenua illusione – di tutto quel che l’essere umano, in modo esasperatamente artificiale, ha concepito e continua a concepire senza sosta.

I frammenti in questione offrono l’idea, non già di una rottura, ma della possibilità di una riconduzione ad unità, della possibilità di costruire attorno a semplici ma basilari elementi l’anelata felicità. I corollari sul piano applicativo sarebbero evidenti: realizzazione piena del principio di uguaglianza sostanziale, di non discriminazione, di piena estrinsecazione della persona umana. Il tutto secondo una prospettiva che elevi la solidarietà a canone informatore.

In conclusione, mi pare di poter affermare che il bel lavoro di Stefano Glinianski ci riporti a Proust: il vero viaggio consiste non già nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi.

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