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Luciano Panzani (ex presidente Corte d’Appello di Roma): «Bisogna abolire l’abuso d’ufficio»

“L’art. 323 del codice penale punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio e quindi anche il funzionario con mansioni modeste, che, al di fuori delle ipotesi di corruzione e concussione, intenzionalmente procura a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale o arreca ad altri un danno ingiusto in due modi: a) viola specifiche regole di condotta stabilite dalla legge per cui non residuano margini di discrezionalità; b) non si astiene in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti dalla legge”.

Lo sostiene Luciano Panzani ex presidente della Corte d’Appello di Roma.

“Spigolando dai repertori di giurisprudenza, è il caso del dirigente comunale che non vigila sull’attività urbanistica degli uffici da lui dipendenti, della mancata vigilanza da parte della stazione appaltante del conflitto d’interessi tra appaltatore e subappaltatore; del pubblico ufficiale che si avvale delle prestazioni dei dipendenti di un ente pubblico per motivi personali; del reclutamento di personale senza rispettare le procedure ad evidenza pubblica, ecc” spiega dalle colonne del magazine digitale InPiù.net.

Nel 2020, per ridurre le incertezze sull’ambito di applicazione del reato, si è precisato che l’abuso deve riguardare la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, non da circolari o regolamenti amministrativi o buone prassi.

“Il reato è di difficile configurazione perché confina con corruzione e concussione nei casi più gravi e perché non rilevano comportamenti in cui è lasciata una sfera di discrezionalità”.

“Ciò non impedisce tuttavia ai P.M. di esercitare l’azione penale e svolgere indagini, magari nella speranza di poter contestare reati più gravi, con ricadute anche mediatiche, in casi che poi dopo il clamore iniziale si sgonfiano, proprio per la difficoltà di integrare la fattispecie di legge”.

“Dopo diversi mesi o in taluni casi anni, interviene l’archiviazione o l’assoluzione, quando tuttavia il danno d’immagine e la sofferenza che deriva dallo stato d’indagato già ci sono stati”.

Il Ministro Nordio, prima ancora che si possa fare un bilancio della riforma del 2020, propone ora di abolire il reato, almeno nei casi di ingiusto vantaggio, i più difficili da valutare.

“Ben venga la riforma che è resa necessaria dall’incertezza legislativa sui doveri dei pubblici funzionari, dalla fragilità del segreto istruttorio e dal frequente ricorso alla gogna mediatica.

Eppure l’art. 323 c.p. fa parte del codice penale dal 1930 e sino al 1990 non aveva dato luogo a difficoltà soverchie” conclude Panzani.

Dopo sono iniziate le modifiche, che hanno visto anche la pena massima passare dagli originari due anni agli attuali quattro. Siamo noi, non i nostri padri e i nostri nonni, che abbiamo creato il mostro.

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