Secondo Angelo Panebianco, per gli europei non ci sarebbe stata alcuna sveglia sui cambiamenti in corso da tempo nel rapporto fra l’Occidente e il resto del mondo se non ci fosse stata l’aggressione russa all’Ucraina. Lo scrive sul Corriere della Sera, affermando che la vicenda di Angela Merkel è emblematica in questo senso.
«Quando era al potere e quando lo lasciò Merkel venne celebrata come una grande statista. Ma la sua statura politica» sottolinea Panebianco «andò in pezzi quando Putin diede il via all’invasione dell’Ucraina. Improvvisamente si capì ciò che, colpevolmente, non si era capito prima: se abbracci una belva nel tentativo di ammansirla, quella prima o poi ti sbranerà. Per niente turbata dall’aggressione russa alla Georgia del 2008, scelse di non vedere cosa Mosca stava preparando».
«E perseverò quando, nel 2014, Putin invase il Donbass e si prese la Crimea, non modificando di un millimetro il suo atteggiamento verso la Russia. Anzi, la dipendenza della Germania dal gas russo aumentò ulteriormente dando così a Putin la sensazione di poter imporre agli europei, tramite il ricatto energetico, qualunque sua decisione. Questo cumulo di errori spiega perché il giudizio generale su Merkel sia così repentinamente cambiato».
«La ex cancelliera ci ha lasciato un insegnamento su ciò che non si può e non si deve fare. In Ucraina si giocano contemporaneamente due partite. La prima riguarda, ovviamente, il destino di quel Paese. Il sostegno occidentale è vitale per aiutare gli ucraini a liberare il proprio territorio dall’invasore. La seconda partita, altrettanto vitale, per noi e per la pace in Europa, riguarda la necessità di creare proprio ciò che è mancato e che spiega l’invasione: un sistema di deterrenza così potente e soprattutto così credibile da inibire futuri tentativi russi di rimettere di nuovo in discussione i confini europei».