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[Lo scenario] L’unico errore di Leonardo Del Vecchio: il mancato passaggio generazionale. Che crea incertezze sul futuro

Il professor Luigi Balestra, giurista e presidente dell’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia, autore del libro “Business e sentimenti. Dinamiche societarie e familiari”, edito dal Mulino, analizza di seguito la vicenda della successione del fondatore di Luxottica, vicenda emblematica dell’economia italiana.

La scomparsa di Leonardo Del Vecchio è una notizia di rilievo per una pluralità di ragioni che sarebbe fuorviante far coincidere con l’ingente patrimonio accumulato.

Un’icona del capitalismo industriale e, al tempo stesso, finanziario, capace di rivestire con inusuale eccletticità molteplici ruoli e vesti; un imprenditore tenace e lucidamente determinato, il quale dalle avversità in cui si è ritrovato da fanciullo ha saputo trarre stimoli per progettare e costruire, trasformando una dirompente creatività in un’attività economica di straordinario successo; ancora, un imprenditore il quale, con lungimiranza, ha saputo dar vita a percorsi improntati a una particolare sintonia  con i propri lavoratori, valorizzandone ruoli e prerogative attraverso una serie di riconoscimenti, in termini di welfare, che li hanno resi orgogliosamente protagonisti della realtà imprenditoriale di appartenenza.

Da semplici dipendenti a, per così dire, veri partecipanti (ricorda all’ANSA Paolo Chissalè, dipendente e storico componente RSU, che Del Vecchio donò azioni ai dipendenti, adottò una rilevante serie di misure assistenziali, concepì un patto generazionale in cui si percepiva una chiara attenzione alla persona e alle sue prerogative esistenziali).

Come per gran parte degli imprenditori che hanno costruito il proprio successo all’indomani del secondo grande conflitto e con il favore del boom economico che sancì l’ammodernamento del Paese, l’azienda ha rappresentato per Del Vecchio una creatura, un figlio, dal quale è stato impossibile distaccarsi.

Il che è ancor più vero quando quel figlio macina successi ed è fonte di soddisfazioni. E qui veniamo ad un altro aspetto che rende la notizia della morte di Del Vecchio rilevante, anche in una prospettiva di mercato e, più in generale, di sistema.

Del Vecchio, ancorché avesse superato abbondantemente gli ottant’anni, ha continuato a tenere in mano il timone fino all’ultimo senza dar luogo a un effettivo passaggio generazionale in vita che, in modo graduale, potesse innescare un cambio progressivo, condiviso e idoneo a scongiurare, all’indomani della morte, il pericolo di fratture. Il fatto che i giornali si interroghino sul futuro governo dell’azienda illumina una situazione di incertezza e, al tempo stesso, pone in luce la tendenza del ceto imprenditoriale a rinviare inspiegabilmente la realizzazione del passaggio generazionale.

Queste affermazioni potrebbero essere immediatamente confutate sostenendo che, in realtà, Del Vecchio – a quel che trapela dai giornali, i quali danno conto di un testamento piuttosto analitico – ha lasciato saldamente il timone a persone di comprovate qualità, contemplando cariche manageriali a vita (salva la possibilità di dimissioni).  

Ha poi regolamentato la sua successione prevedendo che le quote della finanziaria Delfin – cui fanno capo gli asset dell’imprenditore – siano suddivise nella misura del 25% alla moglie e del rimanente 75% ai sei figli per quote uguali.

Stabilendo altresì che le decisioni di maggior rilievo vengano assunte almeno dall’88% del capitale sociale, quindi – di fatto – all’unanimità.

E qui, a mio avviso, risiede il problema.

Contemplare l’unanimità o maggioranze qualificate che coinvolgano molte persone, tra l’altro appartenenti a gruppi familiari differenti, reca con sé il rischio, quanto mai evidente, che si creino situazioni di impasse difficilmente districabili.

Il difficile gioco dei sentimenti, quando si combina con gli interessi economici, rischia di generare un paludoso groviglio di tensioni, di rivendicazioni, di conflitti, di lusinghe, di richieste, in relazione alle quali l’interesse dell’impresa è destinato irrimediabilmente a passare in secondo piano.

È noto come il tema del passaggio generazionale sia sempre stato tenuto ben a mente dal legislatore, europeo e nazionale, in ragione degli effetti deflagranti, in termini di efficienza dell’attività d’impresa, che il mancato o errato governo di tale delicatissimo momento può comportare.

Lo spirito – e, al tempo stesso, la ratio che sottostà alle scelte legislative e agli orientamenti sedimentatisi – che dovrebbe indirizzare il passaggio generazionale consiste nella scelta di un candidato – il più idoneo agli occhi dell’imprenditore – al quale viene attribuito il potere di scelta, di impattare nella formazione della maggioranza assembleare.

Ovviamente delineando meccanismi di controllo dell’operato o, comunque, di reazione.

L’unanimità nelle decisioni più importanti contraddice questa basilare esigenza. Così come non sembrano opportune – oltre che profilare dubbi sul piano giuridico – cariche manageriali a vita. Contemplare sine die quel che sarà l’assetto della governance contraddice l’imprevedibilità del futuro e, quindi, rischia di cozzare contro i cambiamenti – sovente repentini e non pronosticabili – di presupposti e assetti che hanno condotto a scegliere ora per sempre.  

Il passaggio generazionale, anche tenuto conto dell’età media dei nostri imprenditori, è una fase cruciale per tantissime imprese, ancor più nella delicata fase di ripartenza che stiamo tentando di innescare. Occorre promuovere un’adeguata cultura e sensibilizzazione rispetto a questo tema il quale, insieme ad altri, assume una vitale importanza nell’ottica della sopravvivenza delle aziende agli imprenditori e, dunque, dell’oggettiva realtà economico imprenditoriale alle persone fisiche che l’hanno esercitata per un determinato periodo di tempo.

Esistono strumenti e meccanismi per farlo, anche particolarmente sofisticati, che consentono di tener conto delle sfaccettate realtà familiari, assecondandone esigenze, bisogni e interessi.

Occorre che gli imprenditori maturino al riguardo un’adeguata consapevolezza.

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