Le difficoltà che incontra il varo della Commissione von der Leyen – scrive Paolo Pombeni sul Mattino – evidenziano il difficile passaggio di fronte al quale si trova l’Unione europea.
Costruita sempre più come una convivenza fra un sistema confederale di stati, per la verità troppo condizionato dal vincolo delle decisioni all’unanimità, e la necessità di promuovere un sistema di rappresentanza che potesse far intendere che si marcia verso un qualche tipo di federazione (la ricerca del famoso “demos europeo”), la Ue si misura da sempre con la difficoltà di mettere in equilibrio le due componenti.
Oggi è la volta delle leadership dei capi di Stato e, in questo quadro, la stabilità politica italiana può aiutare.
Fino ad un certo punto l’equilibrio era stato trovato, per quanto in maniera sempre un poco precaria, nel fatto che la modalità di funzionamento dei principali stati era basata su sistemi di partito che in qualche modo erano omogenei.
Da qualche tempo quell’equilibrio in qualche misura sinergico fra le due componenti, stati e partiti, si è dissolto.
Oggi Ursula von der Leyen deve tenere insieme un Consiglio percorso da tensioni varie, presenza di leadership azzoppate (Macron e Scholz, giusto per non far nomi), sfide di chi pensa di poter avere la botte piena (di finanziamenti europei) e la moglie ubriaca (di populismi distanti dalle radici del costituzionalismo occidentale: Orban, ma non solo).
Lo deve fare con un parlamento che sulla carta sarebbe formato da “partiti europei”, peccato che questi siano confederazioni di partiti nazionali interessati a tenere conto delle rispettive prese di posizioni ideologiche nei paesi da cui provengono.
Nelle votazioni che si terranno nei prossimi giorni, così come negli incontri che si stanno svolgendo, non solo la presidente della Commissione e i suoi membri, ma anche tutti gli autorevoli europeisti che in questo delicato momento si muovono sulla scena pubblica, devono lavorare per ricucire un contesto a cui si possano ancorare i progetti di evoluzione del sistema europeo tanto ad una ritrovata guida all’interno del Consiglio (fino a non avere paura delle cooperazioni rafforzate), quanto a maggioranze parlamentari che facciano prevalere sull’impulso a seguire i radicalismi di moda la volontà di costruire progressivamente strumentazioni realistiche e razionali di intervento sui grandi nodi che abbiamo davanti.