Laura Pennacchi sul Manifesto parla del tema del salario scomparso nel dibattito a sinistra: “Commentando le tendenze inflazionistiche e recessive collegate alla guerra in Ucraina, si scopre una «quasi estromissione del tema del ‘salario’ dal confronto pubblico».
E una questione salariale che ha perduto centralità nel dibattito politico. In realtà la questione è più grave e generale perché riguarda l’intera problematica del lavoro.
La mancata illuminazione teorica della problematica del lavoro è all’origine dell’omissione, anche da parte della sinistra, di un compito cruciale – rappresentare e mediare i conflitti sociali –, a sua volta alla base della perdita di autorevolezza e autorità della politica italiana, anche quella di sinistra.
Tutto ciò è importante in sé e spinge a chiedersi: perché i processi di svalutazione del lavoro sono stati così poco contrastati anche sul piano teorico e culturale? Perché ci si è attardati nella puerile esaltazione della ‘fine del lavoro’? Perché, anche a sinistra, si è stati così frettolosi nell’archiviare il Novecento, ‘secolo del lavoro’?
Ma tutto ciò – sottolinea Pennacchi – è importante anche perché è parte integrante di quella riflessione sul neocentrismo’ che si è riaperta nella politica italiana e che chiama in causa soprattutto il Partito Democratico, il quale si propone come promotore di un ‘campo largo’ di centro-sinistra e discenderebbe anche una più puntuale identificazione, e ammissione, degli errori compiuti dalle sinistre nel traumatico passaggio dai ‘trent’anni gloriosi’ al neoliberismo.
Se il lavoro e il ‘senso di responsabilità collettiva’ affidato alle istituzioni pubbliche sono state le grandi vittime del neoliberismo, il drastico indebolimento della sfera lavorativa e delle forze sociali che di essa vivono e ad essa si ispirano a cui abbiamo assistito negli ultimi trent’anni ha certamente qualcosa a che fare con le Terze Vie à la Tony Blair, di cui non ci si può limitare a segnalare che volevano cambiare il neoliberismo ‘dall’interno’.
Qui siamo al punto cruciale, perché qui – sul lavoro e sul senso di ‘responsabilità collettiva’ espresso dalle istituzioni pubbliche, che non possono essere privatizzate, né depoliticizzate – passa nuovamente la discriminante destra/sinistra.
Si impone un grande investimento culturale, la necessità di un largo sforzo di discussione e elaborazione collettiva che – conclude – da una parte incorpori ricerca e analisi, dall’altra si cimenti con la produzione di nuovo pensiero e di nuova teoria”.