Massimo Gaggi commenta le parole di Trump nel giorno del suo insediamento e parla di ‘prova di forza’: “Un presidente «muscolare» che fin dal primo giorno prende provvedimenti incisivi su immigrazione, razza, sessualità, energia, ambiente, libertà di parola, informazione, eliminazione di tutele per i dipendenti pubblici, comprese alcune misure controverse che potranno essere contestate nelle sedi giudiziarie o davanti al Congresso. Nel suo secondo mandato – scrive l’editorialista sul Corriere – Donald Trump vuole imporre una svolta radicale all’America in molti campi e nel discorso pronunciato subito dopo il giuramento giustifica in due modi le forzature di norme, prassi e rapporti istituzionali che si accinge a compiere. Trump non usa i colori cupi del suo insediamento di otto anni fa. Non parla, come allora, di American carnage. Ma la condanna del governo di Joe Biden che, mai citato per nome, è una statua di sale alle sue spalle, è dura. Poi, però, anziché tornare a minacciare vendette contro i suoi avversari politici, il presidente preferisce pennellare ottimismo. L’America disegnata da Trump è già in guerra con l’immigrazione illegale. Nel mirino di Trump anche energia e ambiente. Un altro marchio del Trump 2.0 è l’attacco a quelli che i conservatori considerano eccessi della cultura woke: esistono solo due sessi. Ma nella nuova America di Trump ci sono anche tante cose assenti dal suo discorso o solo accennate: la volontà di proiettare forza sul piano internazionale in un modo strettamente legato agli interessi americani («ci riprenderemo il Canale di Panama»), ma anche la determinazione a usare i dazi come arma negoziale. E tra gli ordini esecutivi ce n’è anche uno che dovrebbe consentirgli di licenziare molti funzionari pubblici di carriera per sostituirli con fedelissimi molto al di là delle nomine consentite quando cambia il colore politico del governo. Forzature probabilmente destinate ad essere contestate in sede giudiziaria. Ma per ora, mentre Biden vola al sole della California, gli ex presidenti democratici se ne vanno in silenzio e Hillary Clinton scuote la testa – conclude – non si vede chi possa contestare compressioni dei diritti e conflitti d’interesse davanti alla marcia trionfale del «nuovo che avanza»”.
Maurizio Molinari, la Repubblica: “Brutale”
“Donald Trump torna alla Casa Bianca con un discorso tutto all’attacco in cui promette di rifondare l’America su immigrazione, economia e famiglia”. Così Maurizio Molinari su Repubblica commenta il discorso di insediamento del Tycoon: “Adoperando un linguaggio di una chiarezza brutale affinché avversari e alleati non abbiano dubbi su che cosa ha in mente: azzerare l’eredità di Clinton, Bush, Obama e Biden al fine di trasformare il movimento popolare che lo ha rieletto in uno tsunami di politiche e valori destinato ad avere un profondo impatto anche sulle altre democrazie, a cominciare da quelle europee. Sono parole che mirano a scuotere l’America: vogliono galvanizzare i seguaci e intimorire gli avversari per creare da subito un clima rivoluzionario, da scontro frontale. Trump non cerca mediazioni, vuole far capire che nulla sarà più come prima” su economia, immigrazione, governo federale, famiglia, conflitti. “Resta da vedere – scrive Molinari – se riuscirà davvero a «salvare la nazione» come promette: ha poco tempo a disposizione perché fra appena 18 mesi si voterà per il rinnovo parziale del Congresso; i suoi repubblicani hanno una maggioranza debole alla Camera e su molti temi sono divisi; la sfida a Dipartimento della Giustizia e Fbi minaccia di lacerare Washington. E soprattutto l’espulsione di massa di milioni di clandestini è già una battaglia legale che vede più città e Stati sul piede di guerra, determinati ad arrivare fino alla Corte Suprema per difendere i valori della Costituzione e l’eredità di una nazione creata e costruita proprio grazie all’immigrazione. È questa promessa di Trump di cambiare l’identità dell’America che preannuncia novità a pioggia per partner e alleati. Stringendo i governi Ue nell’angolo: fra le richieste di investire di più sulla difesa, le pressioni per ridefinire gli accordi commerciali e il sostegno alle estreme destre che cavalcano l’intolleranza verso gli immigrati. Per non parlare della richiesta di strappare la Groenlandia a un alleato Nato come la Danimarca. Ma tanto più le sponde dell’Atlantico sembrano allontanarsi – conclude – tanto più è nell’interesse europeo evitare che ciò avvenga, aprendo un dialogo franco e difficile con un presidente americano che, pur essendo portatore di conflitti, resta il leader della più grande democrazia”.
Alessandro Sallusti, il Giornale: “falsi allarmi”
“Si parte, gli addetti ai lavori consigliano di agganciare le cinture di sicurezza perché il viaggio sarà turbolento. Può essere, ma negli ultimi quattro anni senza Trump sulla plancia di comando il mondo ha attraversato non una turbolenza, ma una vera tempesta come da tempo non se ne vedevano”. Alessandro Sallusti sul Giornale ‘ironizza’ sui principali commentatori e aggiunge: “La prima osservazione è quindi che non è Trump la causa dell’instabilità e non sfuggirà che l’ultimo atto di Biden è stato concedere la grazia a tutti i suoi amici sospettati di aver tramato in questi anni per impedire la rielezione del tycoon. La vera vendetta di Trump è stata vincere le elezioni nel modo con cui le ha vinte e da oggi fare ciò per cui è stato eletto, ovvero smantellare l’impianto economico, politico e culturale messo su dalla sinistra e rivelatosi fallimentare. Da oggi assisteremo contro Trump allo stesso meccanismo mediatico che noi abbiamo vissuto in decimo nel 2022 quando Giorgia Meloni ha vinto le elezioni. Ricordate? Nell’ordine, era stato dato per certo che sarebbero state abolite le principali libertà, che saremmo usciti dall’Europa o in subordine che l’Europa ci avrebbe messo al bando, che squadracce fasciste avrebbero dato la caccia a dissidenti e immigrati, che l’economia sarebbe crollata. È successo l’inverso e – scrive – che piaccia o no, solo uno stupido può negare che oggi l’Italia sia più credibile e meglio messa da tutti i punti di vista rispetto a tre anni fa. Assistiamo pure a cori di sdegno per il buon rapporto di Giorgia Meloni con il neo presidente. E cosa dovrebbe fare la premier? Sputare in faccia al presidente degli Stati Uniti d’America? E poi questi stolti dimenticano che la premier ha buoni rapporti con tutti: li aveva con il democratico Biden, li ha con la democristiana Ursula von der Leyen, con gli emiri arabi, con il nazionalista Orbán, con il socialista albanese Rama e pure con il comunista Xi, capo della Cina. Spiegarle che cosa dovrebbe fare con Trump è un po’ come insegnare a un gatto ad arrampicarsi. Immagino che di volta in volta farà ciò che sarà utile all’Italia e all’Europa, più che all’America. Non cadiamo nel tranello di confondere la frustrazione delle sinistre con le capacità e il buon senso dei conservatori, che dal discorso di ieri traggono forza e forse anche coraggio. Scommetto – conclude – che tra quattro anni questo disgraziato mondo sarà un po’ meglio di come Trump, al netto delle sue bizzarrie, l’ha trovato”.
Mario Sechi, Libero: “La Fortezza Americana”
“Donald Trump ci consegnato l’immagine della Fortezza Americana”. Lo scrive Mario Sechi su Libero sottolineando che “il suo discorso di giuramento è diverso da quello del primo mandato, perché nella sua durezza in realtà è intriso di ottimismo, a un certo punto sembrava quasi di rivedere il sogno kennediano, ‘l’agire ancora con coraggio, vigore e vitalità’. Cosa c’era di differente tra il Kennedy che annunciava la corsa alla Luna e il Trump che vuole “mettere la bandiera su Marte’? È lo spirito americano che si rinnova in uno scenario mondiale dove le potenze stanno ricostruendo le loro sfere d’influenza. Vista con gli occhi di un europeo quella di Trump è una sfida sfrontata, ma è proprio questa distanza tra noi e loro che bisogna colmare, quando Trump snocciola lo slogan ‘drill, baby, drill’ e annuncia un boom nell’esplorazione, nell’estrazione e nell’esportazione degli idrocarburi sta raccontando al mondo che gli Stati Uniti sono anche gas e petrolio, non solo Coca Cola e General Motors. La traduzione – osserva Sechi – è che siamo di fronte a un vincolo inscindibile e a una scelta di campo, l’Europa che pensa a una posizione autonoma è come Icaro che pretende di volare con le ali di cera al sole battente, non abbiamo materie prime, non esiste un esercito, siamo imbelli, vecchi e bisognosi di assistenza, l’Europa è un nano tecnologico (bastava vedere i volti presenti nella Rotonda di Capitol Hill: Musk, Zuckerberg, Bezos, Pichai… i titani dell’innovazione a omaggiare The Donald), capace di consumare ma del tutto inadatto a inventare cose che trasformano il mondo, dunque abbiamo bisogno degli Stati Uniti per non soccombere. Il problema è che non è detto che l’America abbia bisogno di noi, la quota di produzione mondiale dell’Europa è in inesorabile calo. Trump non parlava a noi, nella rotonda di Capitol Hill, il suo era un discorso per gli americani che lo hanno votato, un intervento potente dove ha messo in risalto l’eccezionalismo americano, un messaggio a Vladimir Putin che oltre un decennio fa con un articolo sul New York Times aveva affermato proprio che l’eccezionalismo americano era finito. L’Europa – conclude – è un capitolo da riscrivere, non a caso era presente, unico premier, Giorgia Meloni, lei è un mondo nuovo, il problema è che il club vive di ricordi”.