Contrastare l’orientamento progressista che negli ultimi due/tre decenni ha radicalmente mutato il volto ideologico-culturale della società americana e insieme delle nostre.
Questa – scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – è l’essenza del programma con cui Trump si è presentato agli elettori, nonché il cuore della sfida che la presidenza americana pone all’Europa: di natura culturale prima ancora e ben più che politica.
Si tratta di una sfida rivolta soprattutto alle élite europee, in modo tutto particolare di questa parte occidentale dell’Europa.
Una sfida ai valori, ai modelli, ai comportamenti accreditati, ai costumi, che in tutti questi anni quelle élite hanno alimentato e che si riassumono in una sola parola: nel loro nuovismo progressista.
Parliamo del nostro Paese. Da molto tempo pressoché tutte le élite italiane – quelle intellettuali in primis e insieme a loro quelle del mondo dei mass media, del cinema, dell’informazione, immediatamente seguite anche da quelle del denaro, dell’industria, dalle élite dell’amministrazione pubblica e delle più varie organizzazioni sindacali – tali élite, dicevo, hanno abbracciato ogni novità.
Hanno condiviso ogni rottura del costume, ogni adozione di idee nuove, ogni abiura delle tradizioni e dei valori ricevuti.
Da anni, tranne rare eccezioni (come questa…) sulla scena pubblica italiana il punto di vista conservatore non gode certo dello spazio riservato agli innovatori.
Per non dire dell’ostracismo che da noi ha una qualunque voce religiosa che non sia pappagallescamente allineata.
Per molta parte delle classi popolari questa egemonia del nuovismo ha significato uno strappo doloroso con la propria identità, per mille ragioni ancora molto radicata nel passato.
Ma le élite hanno l’obbligo assoluto di non chiudersi in sé stesse: di restare cioè aperte a nuovi accessi, curando come loro primo dovere l’istruzione, e poi di ascoltare tutte le voci della società, non mettendo a tacere quelle che non gli piacciono.
Se è vero, insomma che le società democratiche hanno bisogno delle élite, è anche vero che le sole élite accettabili sono quelle che curano esse prima di essere democratiche.
Non dimenticando che altrimenti il voto prima o poi le punirà: il voto a favore di chi si presenta come il castigamatti, come il vendicatore delle ragioni delle masse escluse dalle scelte unilaterali e arroganti delle élite, il rappresentante della gente comune vittima delle loro mode, dei loro tic ideologici, delle loro finte aperture.