Il polo siderurgico di Taranto sembra destinato a rivivere lo stesso identico copione di nove anni fa, tra incontri con i sindacati, partite giudiziarie, decreti varati ad hoc e un commissariamento in extremis per salvare l’ex Ilva.
Era il gennaio 2015 quando la Ilva Spa fu messa in regime di amministrazione straordinaria sotto la guida dei commissari Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba.
È il febbraio 2024 e Acciaierie d’Italia Spa sta per entrare in regime di amministrazione straordinaria mentre il governo è pronto a nominare i commissari.
Acciaierie d’Italia doveva essere la risposta dell’allora governo Renzi alla crisi ambientale del polo tarantino: una newco guidata dal colosso franco-indiano ArcelorMittal (62%) e dalla società pubblica Invitalia (38%).
Per salvaguardare lo stabilimento e l’occupazione dopo l’inchiesta che spinse la Procura di Taranto a ordinare il sequestro dell’area, lo Stato avviò prima la procedura di commissariamento dell’azienda e subito dopo una gara internazionale per riassegnare l’impresa.
Nel frattempo il Consiglio dei ministri varò un decreto ad hoc per salvaguardare i creditori, i fornitori e le aziende d’appalto che vantavano pagamenti per un ammontare complessivo di circa 700 milioni.
La gara fu vinta da ArcelorMittal.
Il gruppo indicato per rilanciare il sito è tra i principali responsabili dell’amministrazione straordinaria in cui oggi versa il polo strategico nazionale.
Lucia Morselli, amministratore delegato di Acciaierie d’Italia Spa, durante un’audizione in Commissione Industria e Agricoltura del Senato di una settimana fa ha rivelato che i problemi finanziari del gruppo sono diventati chiari nel settembre 2023 e si sono resi sempre più asfissianti alla luce della scadenza di maggio 2024, quando scadrà l’affitto degli asset che il gruppo gestisce e che sono ancora sotto la proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria.
ArcelorMittal e Invitalia avrebbero dovuto effettuare pro-quota un’iniezione di liquidità per garantire la continuità aziendale.
Tuttavia, come ha ammesso la stessa Morselli a Palazzo Madama, “è stato chiesto ai soci di coprire il fabbisogno finanziario ma non sono riusciti a trovare un accordo”.
Nel corso degli ultimi mesi ogni tentativo di dialogo e accordo tra i due azionisti è terminato con una fumata nera.
A rompere lo stallo è stato l’attuale ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso sentenziando la fine dell’era ArcelorMittal e l’avvio di un nuovo commissariamento.
“Occorre cambiare rotta ed equipaggio”, ha detto il ministro.
Il 15 gennaio scorso, è stato varato dal Consiglio dei ministri un decreto che permette ai soci di minoranza di presentare richiesta di amministrazione straordinaria e, allo stesso tempo, di tutelare i creditori.
In questo modo Invitalia ha potuto avviare l’iter per il commissariamento, scatenando la reazione di ArcelorMittal.
“Siamo sorpresi e delusi”, ha scritto il socio franco-indiano in una missiva indirizzata a Invitalia, nella quale denuncia “una grave violazione dell’accordo di investimento”.
Acciaierie d’Italia ha provato più volte a fermare l’amministrazione straordinaria ricorrendo a vie legali: prima con la richiesta di composizione negoziata e dopo con la domanda di concordato con riserva.
Il giudice della II Sezione Civile del Tribunale di Milano, Francesco Pipicelli, ha rigettato il primo ricorso presentato dalla società.
Il governo, seppur chiamato in causa per le questioni giudiziarie, è andato dritto per la sua strada, ribadendo più volte che, in funzione del cosiddetto Decreto ex Ilva, una volta richiesta l’amministrazione straordinaria qualsiasi altra istanza chiesta per la società viene sospesa, compresa la domanda di concordato.
Ora il Mimit deve accertare la presenza delle condizioni necessarie per procedere con il commissariamento di Acciaierie d’Italia.
In caso affermativo, sarà il Tribunale di Milano, riunito in seduta collegiale, a dover valutare lo stato di insolvenza della società e a dare il via libera per l’amministrazione straordinaria.