Il rapporto tra la politica e il sindacato – commenta Stefano Folli su Repubblica – è da sempre materia incandescente, da gestire con cura. Per anni si scelse la via della concertazione, un modo — talvolta troppo ottimistico — per associare le forze sindacali, e spesso anche quelle imprenditoriali, alle scelte economiche. Ma da tempo quella stagione è tramontata. Ora siamo di fronte a una crisi pericolosa, al rischio di uno scontro frontale che non porterà vantaggi a nessuno dei contendenti.
Salvini, il ministro e vice premier, ha colto l’occasione dello sciopero generale di venerdì, proclamato da Cgil e Uil, ma non dalla Cisl, per dimostrare all’opinione pubblica che l’uomo forte del governo di destra-centro è lui e non l’usurpatrice di Palazzo Chigi.
Quanto a Landini, il ricorso allo sciopero generale, almeno sul piano retorico, serve ad alzare i toni del conflitto sociale; a rendere più coesa la base dei lavoratori; ad affermare una sorta di egemonia culturale della Cgil rispetto al blocco Pd-5S-Sinistra e Verdi. E c’è un filo che è impossibile non scorgere tra la piazza del Popolo di Elly Schlein e le piazze di dopodomani.
Peraltro lo sciopero generale ha un valore politico che sovrasta ogni altro significato. Se Salvini ha interesse ad accentuare il profilo politico dello sciopero, l’interesse della Cgil non può essere meramente speculare. Non c’è una sfida da vincere, bensì una grande massa di lavoratori da tutelare al meglio. Anziché alzare la tensione, facendo così il gioco di Salvini, il sindacato avrebbe l’occasione di fare le scelte giuste. L’Autorità Garante, organismo che si vuole neutrale, ha già offerto un orario ragionevole per lo sciopero dei trasporti. Accettare l’indicazione vorrebbe dire affermare le ragioni del sindacato senza accrescere oltre misura il disagio dei cittadini.