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La politica estera richiede unità | L’analisi di Agostino Giovagnoli

Come scrive su Avvenire lo storico Agostino Giovagnoli, è importante che l’accordo sulla mozione della Camera a sostegno di «ogni iniziativa volta alla liberazione degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza» abbia coinvolto tutte le forze politiche.

La politica estera, infatti, è molto diversa da questioni interne che sopportano anche forti contrapposizioni e non può essere ad libitum di maggioranze di governo per loro natura mutevoli.

L’attività internazionale di un Paese si radica anzitutto nella sua geografia, scaturisce da “forze profonde” di lungo periodo e deve basarsi su orientamenti costanti.

È bene perciò che le decisioni in questo campo vengano prese insieme da forze politiche diverse o antagoniste, in modo che non vengano cambiate con il mutare dei governi e abbiano più peso sui tavoli politico-diplomatici internazionali.

Si tratta di una regola antica ma oggi poco seguita: lo scenario internazionale è in continuo cambiamento e l’ascesa di leader più giovani o meno esperti rischia di far dimenticare le lezioni della storia.

La larga approvazione della mozione sugli ostaggi israeliani e per il cessate il fuoco a Gaza si collega a una linea di politica estera italiana avviata ottanta anni fa, con la svolta di Salerno del 1944.

Anche se ricordata soprattutto per motivi di politica interna – il ritorno di Togliatti dalla Russia, l’apertura alla monarchia dei partiti antifascisti – tale svolta è stata soprattutto il primo atto di politica estera di un Paese che aveva perso la sua sovranità per colpa di una guerra sbagliata e a seguito di una dura sconfitta, di un pesante armistizio e dell’occupazione militare alleata.

I sei partiti del Cln si assunsero allora – tutti insieme, benché profondamente diversi – responsabilità che non erano loro e garantirono davanti alla comunità internazionale che l’Italia avrebbe seguito una politica di pace.

A questa scelta fondamentale si sono poi aggiunte l’adesione alla Nato, la vocazione europeista e quella politica neoatlantica che ha portato l’Italia in prima linea nel dialogo con i Paesi non occidentali, dal Medio Oriente all’Africa e alla Cina.

Sono questi i pilastri della politica estera italiana che devono essere mantenuti, pur adattandola e rilanciandola secondo i mutamenti imposti dalla storia.

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