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La grande sconfitta della modernità: ritrovarsi fragili di fronte alla forza della natura

L’uomo Occidentale inizia in questi giorni a percepire che davanti alla forza della natura vi è un limite che, se oltrepassato, non gli permette più di essere artefice del proprio destino.

È come per un terremoto. Ma se nel terremoto c’è lo Stato che può operare col sistema di soccorso sanitario ed economico – in questo caso pandemico – si assiste alle difficoltà della scienza, ad intervenire sulla natura.

Ed i cittadini, in genere abituati a vedere nello Stato una sorta di onnipotenza, che se vuole tutto può risolvere (idea metafisica di esso), ora percepiscono che non può oggettivamente fare nulla che cancelli questo virus in tempi immediati.

Così nasce una sensazione di grande vulnerabilità. Anzi, rinasce.

Perché è un ritorno al passato, ad un pensiero cui la filosofia greca e quella moderna, fin prima della Rivoluzione Industriale, ben conviveva. Dopo la Rivoluzione, una fiducia smodata nel progresso serpeggia nella mente dell’uomo, che inizia a percepirsi padrone del mondo ed artefice del proprio destino.

Tale idea è tradotta nel Positivismo. Esso si contrapponeva al giusnaturalismo, ovvero al pensiero che la giurisprudenza, quindi gli Stati, dovevano adattarsi alla natura, cioè prendere spunto da essa.

Dove si legge, in tale visione, l’ammissione di una sua superiorità, nei confronti dell’umanità.

Come studioso sono stato sempre consapevole di questa situazione di sottomissione. Mi sono imbattuto leggendo la storia, troppe volte in cronache di grandi eventi naturali, che sono sfuggiti al controllo del genere umano. Dalle pesti post medievali, all’ultima grande epidemia, quella della febbre spagnola, che dal 1918 al 1919, provocò circa 50 milioni di morti.

Ma ivi non vi era uno Stato che proteggeva l’uomo, perché gli Stati erano deboli: burocraticamente, saniariamente ed economicamente. Non vi erano organi internazionali, che li coordinavano.

La vita era fatalmente fragile, perché si moriva per una ferita, senza penicillina.

Poi, dopo lo sbarco sulla Luna, l’uomo ha alimentato in una iperbole la sua sensazione di onnipotenza. La burocrazia, in senso positivo, ci ha abituati ad un intervento in ogni evenienza della vita.

La scienza medica è arrivata ad operare in campi infinitesimali.

E l’uomo del terzo millennio assiste ammutolito a questa catastrofe, perché fatica ad accettare che in 4.000 anni di civiltà, davanti a talune situazioni nate in natura, nulla è cambiato della sua fragilità.

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