A breve sarà finalmente presentato, a meno che non sopravvenga l’ennesimo rinvio, il Rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione a suo tempo commissionato all’ex presidente del Consiglio dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Il ritardo non è stato chiaro, anche perché l’altro Rapporto, quello sui profili istituzionali del mercato unico, commissionato del pari dalla Presidente a Enrico Letta è stato da tempo pubblicato, presentato e discusso.
Il Rapporto Draghi, in effetti, avrebbe potuto essere presentato anche prima delle elezioni europee, ma ne furono indicati solo alcuni punti: si pensò che non si volesse fare entrare in questo modo Draghi nella competizione elettorale, che si nutrisse una certa gelosia politica da parte della stessa presidente, candidata al rinnovo del mandato, che non si volesse creare una chance per la designazione a presidente del Consiglio europeo. Nel discorso programmatico all’Europarlamento della Von der Leyen, tuttavia, diversi punti del Rapporto sono sembrati essere stati fatti propri (benché senza citazione). Quali che siano stati i motivi – ivi compreso l’eventuale favor di Draghi per il temporeggiamento, pur sempre possibile in teoria – l’avviato slittamento della presentazione ora dovrebbe concludersi.
Nel frattempo, con recentissime decisioni della Cina e con gli impatti delle due guerre in atto, per non parlare dei sostegni Usa alle imprese con l’Ira e dei programmi di uno di candidati alla presidenza Usa, Donald Trump, in materia di dazi e unilateralismo, la necessità di prendere di petto il tema della competitività dell’Unione e nell’Unione è diventata cruciale. La presentazione in questione non può essere simile a quella di uno dei ricorrenti saggi di economia destinati ai soli esperti e spesso con ricadute platoniche. Per chi ne è l’estensore, per il tipo di conferimento dell’incarico, per la materia trattata, per gli interessi suscitati, il Rapporto andrà approfondito per tutto quanto potrebbe tradursi in misure concrete e in linee di indirizzo. Naturalmente, non si esclude la possibile critica argomentata, sia dell’impostazione sia di singoli aspetti, fondamentale nel processo dialettico che si spera venga attivato.
La discussione nell’Europarlamento dovrebbe costituire un passaggio obbligato. Per questo lavoro, come per quello di Letta, l’analisi non dovrebbe fare astrazione, però, dalle questioni di politica monetaria. È vero che il mandato non prevede una tale trattazione. Ed è altresì vero che per un ex presidente della Bce può apparire uno stridio – non certo, però, un conflitto di interesse – se apertamente tratta di questa Istituzione e dei suoi pur esistenti problemi, magari anche per negarli e dirne tutto il bene possibile, se ve ne sono le condizioni (del che qui si dubita). Ma l’organicità della trattazione almeno in sede di presentazione è essenziale.
Accade, invece, che si discuta frequentemente di economia, di finanza pubblica, di specifiche politiche, ma anche di credito, eppure persista un invitato di pietra che è la Bce del cui assetto istituzionale e della cui operatività ci si astiene dal parlare, quasi fosse innominabile. La parcellizzazione va benissimo per l’analisi e lo studio in generale. Poi vi è l’esigenza di una reductio ad unum, alla quale non si sottraggono aree di riservato dominio istituzionale. L’attesa della presentazione è, dunque, motivata anche dalla curiosità di verificare se e come sarà affrontata questa esigenza di organicità anche nelle proposte. Se non altro per un adeguato contrappeso: ormai diversi banchieri centrali si dilungano nei loro discorsi nel sostenere ciò che governi, Parlamento, Unione, Relazioni internazionali dovrebbero fare. Ma le banche centrali sono il migliore dei mondi possibili? E gli errori della Bce, nonché le carenze istituzionali?