Follow the money, segui il denaro, suggeriva la mitica Gola Profonda ai due reporter del Washington Post che indagavano sullo scandalo del Watergate che avrebbe portato alle dimissioni del presidente americano Richard Nixon.
E senti la pancia, degli americani.
I soldi, dove vanno e per quali motivi, bisogna seguirli per capire che effetti ci saranno sull’economia mondiale e sui mercati finanziari quando alla Casa Bianca siederà il repubblicano Donald Trump, al suo secondo mandato dopo tre campagne elettorali, un record storico.
L’America ha scelto lui e si può dire che il primo voto gli sia arrivato da Wall Street, come ha titolato MF-Milano Finanza del 6 novembre, che è subito salita confermando un trend rialzista, così come il Bitcoin, Tesla dell’amico Elon Musk e gli stessi titoli di Trump Media e di tutta la galassia big tech.
Difficile sbagliarsi: al di là delle dichiarazioni pacificatorie della notte elettorale la Trumpeconomics avrà una stella polare: America First and Europe Last.
La pancia degli States andava invece ascoltata un po’ di più da chi ha perso.
La società americana è pericolosamente e forse definitivamente polarizzata tanto da far propendere molti analisti presenti alla notte elettorale organizzata da Bruno Vespa negli studi di Porta a Porta per una definitiva separazione della più grande democrazia del mondo: da una parte gli americani bianchi, componenti di una classe media che si sta assottigliando, gli operai, molti immigrati ora cittadini a pieno titolo; dall’altra la galassia delle grandi città riformiste.
Una enorme Ztl, Hollywood, la California, l’entertainment, un movimento femminista che avrebbe dovuto sostenere di più Kamala Harris e il partito democratico che non riesce a intercettare più i bisogni del Paese, in Usa come in Europa.
Come a ogni elezione, c’è un prima, fatto di promesse, minacce e paura e un dopo, concretizzato in sano pragmatismo, almeno lì.
Il prima, a vedere i programmi del 47esimo presidente americano neo-eletto e della sconfitta democratica Kamala Harris, era un’overdose di debito pubblico.
Entrambi avevano promesso molte risorse, tanto che è stato calcolato che il deficit americano aumenterà di ben 5.800 miliardi di dollari se il tycoon metterà in pratica tutte le politiche annunciate, contro i 1.200 miliardi aggiuntivi se invece l’avesse spuntata la vice di Joe Biden, improvvisamente rinsavito e quasi ringiovanito dopo essere uscito dalla contesa.
Qualche rimpianto Mr.
Obama lo nutrirà sicuramente: era forse meglio non cambiare cavallo?
Le politiche di Trump, uno che non pare avere rimpianti ma solo solide certezze, prevedono in concreto una riduzione delle tasse, una maggiore deregolamentazione, norme di immigrazione più restrittive e l’adozione di dazi su vasta scala.
Questo potrebbe portare a un aumento delle aspettative di inflazione e a effetti negativi sull’export dei Paesi europei e su questo dovremmo preoccuparci, in primis il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo vice Antonio Tajani: noi italiani siamo al quarto posto nel mondo per il saldo della bilancia commerciale pur non essendo la quarta economia del pianeta.
Matteo Salvini, l’altro vicepremier, leader della Lega e tifoso della prima ora di Trump, dovrà dare una mano all’Italia e ai tanti piccoli imprenditori che dice di rappresentare, perché non possiamo permetterci di arretrare nella difficilissima competizione globale.
Premesso che Trump è un irregolare che diventa regola nell’America profonda e spesso predica male razzolando bene, sono tre gli interrogativi che si porta nello studio ovale e per riflesso in giro per il mondo il settantottenne comandante in capo.
Il primo è che ne sarà delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e cosa accadrà ai rapporti tra Usa, Nato e Alleanza Atlantica per il sostengo a Kiev.
Taceranno le armi o Trump imporrà davvero ai Paesi europei di aumentare al 2% le spese militari pena la fine di ogni intesa geopolitica?
A vedere i corsi di borsa e l’indice dei titoli della difesa a partire da Leonardo c’è qualcuno che spera nella guerra a oltranza.
Va detto senza ipocrisie e anticipando per una volta l’unico che lo rimarca di continuo, Papa Bergoglio.
Il secondo quesito da sciogliere è capire in che modo le politiche di Trump impatteranno non tanto sulla finanza, che ha festeggiato anzitempo avendo capito che nulla di male le verrà fatto, quanto all’economia reale.
Cosa accadrà al settore dell’automotive se il nuovo presidente deciderà di aumentare il sostegno dell’Inflation Reduction Act in favore delle quattroruote made in Usa a fronte della catastrofe che si sta verificando – anche a causa del New Green Deal – nei conti e nelle vendite delle grandi case europee, da Volkswagen a Stellantis?
Andremo tutti a piedi o saliremo su vetture cinesi peraltro già colpite dai dazi della Commissione e in odore di ritorsioni da parte anche di Trump?
Il nostro modello di sviluppo europeo è in pericolo perché non siamo i soli abitanti del pianeta ma pretendiamo di governarlo con norme ambientali che rispettiamo solo noi.
Il terzo interrogativo che più deve inquietare è il reale ruolo di Elon Musk e delle sue aziende nella presidenza Trump, che ha appoggiato, sovvenzionato e supportato a livelli mai visti.
Quanto peserà il più ricco miliardario del mondo sui programmi di difesa, spaziali e di incentivazione tecnologica della Casa Bianca?
Se è vero che gli Stati Uniti non sono più gli sceriffi del globo occorre ricordare che possono usare la forza dell’Intelligenza Artificiale e delle big tech per soverchiare e condizionare il resto del mondo, imponendo il loro linguaggio dopo averlo fatto per due secoli col dollaro e il fucile.
Costa meno, non fa morti ed è più facile perché non ci si sposta da casa.
La prossima battaglia commerciale si condurrà perciò non solo a colpi di sanzioni e barriere all’ingresso ma anche con la corsa al riarmo tecnologico, dove l’Europa e l’Italia sono drammaticamente sguarniti.
Dalla valigetta atomica al tasto che interpella l’AI il salto è enorme ma è già qui davanti ai nostri occhi.
Chiuderli sarebbe un errore imperdonabile, come pensare ai bei tempi antichi in cui i cattivi restavano fuori dalla stanza dei bottoni americana e al massimo vi ci entrava un attore di western di secondo piano per poi stupire il mondo con le sue politiche pragmatiche che avrebbero condotto alla soglia del crollo del muro di Berlino e all’implosione dell’Unione Sovietica.
Questo significa essere americani, diventare adulti nel corso delle proprie esperienze.
Cosa comporti oggi invece essere europei è ancora un enigma.
Trump II ci spingerà gioco forza a capirlo rapidamente.