L’Offerta di pubblico scambio di Unicredit su Banco Bpm sarà anche temeraria e poco generosa (toccherà semmai alzarla) ma dimostra che le banche italiane sono in salute.
Persino troppa a giudicare da come vengono trattati e poco remunerati i correntisti.
Andrea Orcel, amministratore delegato della banca milanese, ha mostrato coraggio e competenza.
Le stesse qualità messe in luce da Giuseppe Castagna nel muoversi, con il suo Banco Bpm, su Anima, gestione del risparmio, e Monte Paschi.
Anche per tentare di contrastare le mire italiane di Crédit Agricole.
È giusto che il governo abbia favorito la creazione di un nocciolo nazionale per il risanato Monte dei Paschi, ma le forze di maggioranza, e in particolare la Lega, devono guardarsi dal ripetere un errore storico del Pd: quello di creare una “gemellanza siamese”, usiamo un termine caro a Raffaele Mattioli, tra un partito e un istituto di credito.
Porta male a entrambi.
Dunque, lasciate fare al mercato, nel rispetto ovviamente delle regole, come correttamente nota Daniele Manca sul Corriere.
Quando Intesa si prese Ubi non disse niente nessuno.
Unicredit è, a dispetto dei timori di Salvini, una banca italiana.
Se la consideriamo straniera noi, avrà buon gioco la Germania nel mettersi di traverso nell’operazione Commerzbank, se mai andrà avanti.
Ed è inopportuno ipotizzare, come ha fatto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’uso del golden power, cioè l’autorizzazione governativa per acquisizioni dall’estero.
In linea teorica, come conferma il giurista Luca Picotti, la misura è applicabile a tutti i soggetti appartenenti all’Unione europea «ivi compresi quelli residenti in Italia».
Ma sarebbe politicamente non solo dannoso e autolesionista, ma persino ridicolo.
Ormai il golden power che dovrebbe proteggere attività strategiche, nella difesa e nell’alta tecnologia, soprattutto da mire cinesi o russe, è come il parmigiano reggiano.
Si può mettere su tutto.
Anche sulla compravendita del negozio sotto casa.