Tassare gli extraprofitti è una tentazione ricorrente da parte dei governi alla ricerca di risorse aggiuntive per far quadrare i conti.
Da ultimo è emersa l’idea, che ora sembra accantonata, di imporre un “contributo di solidarietà” alle banche che hanno beneficiato della forbice particolarmente ampia tra tassi attivi e passivi dovuta all’impennata dell’inflazione.
Negli ultimi due anni le banche italiane hanno registrato profitti lordi per oltre 66 miliardi.
Un contributo dell’1% o 2% consentirebbe di apportare alle casse dello Stato rispettivamente 661 milioni o 1,322 miliardi.
Inoltre secondo Unimpresa sulle banche italiane grava un onere fiscale molto inferiore alla media delle imprese che operano in altri settori (il 19,6% di tax rate, rispetto al 42%).
Anche un confronto con Germania, Francia e Spagna riferito al 2022 e 2023 rivela che le banche italiane hanno beneficiato di un regime di tassazione più favorevole.
Ci si può dunque porre la domanda se ciò giustifica un prelievo una tantum costruito come contributo di solidarietà, ma che ha natura di un prelievo fiscale, limitato a una categoria particolare di imprese.
Su questi temi la Corte Costituzionale ha fissato alcuni principi.
Anzitutto la legge può prevedere regimi di tassazione più onerosi riferiti a categorie particolari di imprese, come banche, compagnie petrolifere, aziende elettriche eccetera.
Lo ha chiarito la sentenza sulla Robin Tax introdotta nel 2008 dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti all’insegna del “rubare ai ricchi per dare ai poveri”.
In quell’occasione la Corte ritenne ammissibili inasprimenti temporanei dell’imposizione per settori economici o per tipologie di redditi, come accaduto in passato per il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali e per il contributo straordinario per l’Europa.
Nel 2019 la Corte ha ritenuto legittima l’applicazione di un’addizionale dell’8,5% all’aliquota dell’imposta sul reddito delle società (Ires) per gli enti creditizi, finanziari e assicurativi.
Per respingere le censure di incostituzionalità la Corte ha fatto leva anche sul fatto che il mercato finanziario presenta caratteristiche peculiari rispetto a quello industriale.
Data la presenza di rilevanti barriere di accesso, si tratta di un mercato che “assume connotati di tipo oligopolistico” e appare caratterizzato da un certo grado di “anelasticità della domanda”.
Non è dunque implausibile che il legislatore ne abbia desunto “uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva” tale da giustificare un temporaneo intervento anticongiunturale.
Peraltro, sempre secondo questa sentenza, la temporaneità dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire giustificazioni a un’imposta straordinaria.
È infatti necessaria la presenza di effettivi indici rivelatori di una maggiore capacità contributiva.
In ogni caso il concetto di capacità contributiva richiesto dalla Costituzione per la tassazione lascia al Parlamento spazi di manovra molto ampi.
Nel mondo contemporaneo emergono infatti “nuove e multiformi creazioni di valore” rispetto agli indici tradizionali come patrimonio o reddito.
Istruttiva è anche la recentissima sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto incostituzionale l’inclusione delle accise nel contributo straordinario di solidarietà imposto nel 2022 alle imprese energetiche.
In realtà si trattava di una componente minore rispetto all’entità del contributo straordinario commisurato ai saldi Iva.
Questi ultimi peraltro non sembravano in grado di intercettare in modo corretto gli extraprofitti dovuti all’impennata dei prezzi dell’energia dopo l’invasione dell’Ucraina.
La Corte Costituzionale ammette che in tempi normali una simile imposta non avrebbe superato il test di razionalità e proporzionalità.
Tuttavia l’eccezionalità della situazione ha indotto la Corte a salvare un tributo tagliato per così dire con l’accetta.
In definitiva, non è detto che la tassa sugli extraprofitti ipotizzata per le banche possa superare i paletti della giurisprudenza costituzionale.
Certo, sarebbe in ogni caso un lungo strascico di contenzioso che non fa mai bene agli operatori e al mercato.