Come Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato – osserva sulla Gazzetta del Mezzogiorno Gaetano Quagliariello – si può essere autonomisti e federalisti e, nello stesso tempo, meridionalisti a tutto tondo.
Non è un reato. Basta tuttavia questa ovvietà per schierarsi “senza se e senza ma” a favore del progetto di autonomia differenziata proposto dal Ministro Calderoli? No. Basta però per non avere preconcetti.
Ma nel dibattito sull’autonomia differenziata – continua Quagliariello – quel che manca, da una parte e dall’altra, è un’idea di sviluppo al passo con i tempi che riguardi il Meridione e l’entroterra appenninico.
Di questi luoghi l’esperienza del Covid ha evidenziato tante debolezze strutturali, ma anche – e sorprendentemente – alcune potenzialità. Fra le tante certezze che la pandemia ha minato, vi è infatti quella relativa ai caratteri di una società «vincente» a lungo considerati obbligati.
Di fronte a uno shock inatteso che ha sconvolto abitudini, filiere economiche e organizzazioni sociali, il modello accentrato dei grandi agglomerati urbani e dei processi produttivi standardizzati, fondato su un freddo efficientismo e su relazioni ridotte all’essenziale, ha mostrato tutti i suoi limiti. Il bisogno di una prospettiva di crescita non è certo venuto meno.
Ma questo bisogno necessita oggi di essere coniugato con i caratteri di quella che io definisco una «società calda», vale a dire fondata sulla persona e sulla sua relazionalità; sull’umanizzazione dei rapporti economici e sociali e persino della tecnologia.
Di fronte alla prova di sforzo, nonostante tutte le sue fragilità strutturali, la «società calda» ha infatti retto meglio. Ha retto perché un tessuto socio-economico a misura d’uomo ha saputo proteggersi e in alcuni casi persino reinventarsi, mostrando le potenzialità di un modello di sviluppo che, depurato da antiche tare come l’assistenzialismo e il mito infelice della decrescita, potrebbe divenire un punto di riferimento per l’intero Paese.