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Francesco Grillo (economista): «Ecco i tempi e i costi di una vera transizione energetica»

La guerra in Ucraina sembra costringerci ad una scelta impossibile fra tre obiettivi vitali: evitare una recessione che può portare alla chiusura di migliaia di imprese strangolate dalle bollette; liberarsi dalla minaccia dei tiranni che abbiamo finanziato per anni comprando gas; raggiungere gli obiettivi europei di ridurre, entro il 2030, le emissioni di anidride carbonica del 55% rispetto al 1990.

In realtà, non occorre andare lontano per trovare Paesi che si sono per tempo preparati alla tempesta perfetta. Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria, lo stesso Portogallo, la Svizzera fuori dall’Ue, indicano una strada che non ha alternative.

Le ultime previsioni economiche dell’Oecd di Parigi sono state pubblicate a luglio nel documento “Il prezzo della guerra”. L’Europa nel complesso paga al conflitto una riduzione della crescita del Pil di due punti e mezzo, scivolando nella stagflazione (inflazione più recessione).

In un quadro così fosco, ci sono però piccole isole felici: il Portogallo, l’Austria, la Svizzera pagano alla crisi energetica solo mezzo punto; a Zurigo l’inflazione è poco superiore al 2%.

Va un po’ peggio alla Finlandia e alla Svezia, ma solo perché più abituati ad esportare in Russia. La capacità di resistere alle crisi si traduce, peraltro, in maggiore indipendenza politica: Svezia e Finlandia hanno chiesto di entrare nella Nato mentre la Russia ricatta la Germania; l’Austria e la Svizzera difendono una neutralità sancita da Costituzioni e Trattati.

Ma c’è un elemento in più che in parte spiega il miracolo della resilienza. I sei Paesi che consideriamo sono tutti – nei numeri dell’Università di Oxford- tra i 10 Paesi del mondo con la più alta quota di energia prodotta da fonti non soggette ad esaurimento: si va dalla Svezia, che è al 51%, fino al Portogallo, che copre un terzo del fabbisogno. Germania, Francia e Italia sono sotto il 20%.

Ma quanto realmente costa una vera transizione e quanto tempo richiede? La Fondazione Enel ha presentato un piano per portarci nel 2030 a raggiungere Portogallo e Svizzera. E che, però, ha il difetto apparente di costare quanto cinque Pnrr (1.056 miliardi di euro) solo nei prossimi 8 anni.

E, tuttavia, la vera notizia è che i benefici di una trasformazione così ambiziosa sarebbero decisamente maggiori dei costi: ogni euro speso produrrebbe un ritorno (di 1,64 euro) superiore a quello previsto dal Pnrr nel suo complesso (1,2 nell’ipotesi migliore).

Piuttosto che rivedere il Pnrr che abbiamo, ne andrebbe lanciato un altro gestito direttamente dalla Commissione, molto più focalizzato, capace di attrarre investimenti privati.

La guerra rende molto più urgente la sfida che – fino a qualche mese fa – serviva per scongiurare disastri immani. E che ora, però, diventano imminenti.

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