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Ecco l’infrastruttura più importante che manca all’Italia: i figli | L’analisi di Ramiro Baldacci

Anche quest’anno abbiamo perso un altro capoluogo di provincia. Dai dati Istat di inizio settimana emerge che quest’anno la popolazione italiana è diminuita di 179 mila unità.
E’ come dire che città della dimensione di Reggio Calabria, Reggio Emilia o Perugia hanno smesso di esistere nel giro di un anno. E la pandemia ha avuto una bassissima incidenza su questi numeri, che sono quindi il frutto delle nuove dinamiche demografiche e sociali che stanno minando il futuro dell’Italia.

Il numero dei nuovi nati segna un altro record negativo, scendendo per la prima volta sotto i 400.000 in un anno, con un ulteriore decremento rispetto al 2021 dell’1,9%. L’ultimo anno in cui il dato delle nascite è stato in crescita rispetto all’anno precedente è stato il 2008, quando abbiamo registrato 576.659 nuovi nati. Questo vuol dire che in questi quindici anni abbiamo perso all’anno circa 184 mila bambini, ossia una città grande come Modena. E il calo sembra inarrestabile.

Linda Laura Sabbadini, Direttrice del dipartimento metodi e tecnologie per la produzione e la diffusione dell’informazione statistica dell’Istat, ha sottolineato che il problema non riguarda solo i dati di oggi, ma è il suo protrarsi negli anni che rende davvero pericolosa la situazione, portando nel tempo all’assottigliamento delle generazioni. Avere meno nati oggi, vuol dire avere meno genitori tra 20 anni, con il rischio di incrementare un processo a catena che in Italia è in atto da tempo.

Le differenze territoriali

I dati non sono però omogenei in tutta Italia. Guardando alle varie aree geografiche, il deficit di popolazione rallenta al Nord e peggiora nel Mezzogiorno. Nel Nord il decremento è di -0,1%, di entità decisamente inferiore rispetto a quella dell’anno precedente (-0,4% nel 2021). Anche al Centro il calo di popolazione è più contenuto (-0,3% contro il -0,5% del 2021). Il Mezzogiorno, invece, subisce effetti più pronunciati passando dal -0,2% del 2021 al -0,6% nel 2022.

“Viviamo in un’Italia a macchia di leopardo – commenta Adriano Bordignon, neo eletto presidente del Forum delle Associazioni Familiari – con situazioni drammatiche in alcune province della Sardegna o come la realtà di Matera, ma anche alcuni segnali di controtendenza come la provincia di Bolzano oppure Piacenza, segno che, a volerlo, si può attivare un ecosistema di politiche locali a misura di famiglia”.

Il (finto) apporto dei flussi migratori

Tornano in crescita i movimenti migratori, che non riescono comunque a sopperire al calo della popolazione residente, ma solo a contenerlo. Buona parte dei movimenti migratori internazionali deriva dal conflitto in corso in Ucraina (146 mila su 360 mila), questo anche a causa della presenza stabile della comunità Ucraina in Italia che a fine 2021 contava già 225 mila censiti.

Più complicata è la situazione dei migranti che non riescono ad ottenere un permesso per protezione temporanea o che utilizzano il nostro Paese solo come terra di transito per andare poi altrove, anche se le cancellazioni per l’estero nel 2022 si attestano a 131 mila, con un decremento del 16,7% rispetto all’anno precedente.

Le conseguenze inevitabili

Il vero problema che bisogna sempre tenere a mente è che questi numeri non fanno parte di un racconto fine a se stesso, ma sono la base su cui il nostro Paese sta costruendo un futuro drammatico, come indicato da Gigi De Palo, allora presidente del Forum delle Famiglie, in un’intervista esclusiva rilasciata al nostro Osservatorio. L’effetto più immediato del crollo demografico è quello economico, perchè il PIL comincerà a scendere per mancanza di lavoratori nelle imprese. La desertificazione delle zone periferiche continuerà in maniera sempre maggiore, con chiare conseguenze anche sulla sostenibilità ambientale.

Il sistema di welfare italiano necessariamente verrà meno (come emerge dal rapporto 2022 del Think Tank Welfare Italia), sostituito presumibilmente da un Servizio Sanitario a pagamento. Ugualmente il sistema pensionistico non sarà più in grado di mantenersi e aumenteranno le famiglie colpite dalla povertà.

Anche la scuola avrà conseguenze pesanti. Già quest’anno si sono iscritti 120 mila alunni in meno, come emerso a inizio febbraio al momento della chiusura delle iscrizioni (per continuare il paragone con le nostre città, sono pari al numero degli abitanti di Bergamo). Questo vuol dire avere meno classi, meno docenti e chiare ripercussioni su tutto il sistema Paese.

La necessità di un intervento politico

“La priorità della priorità, la vera infrastruttura di cui ha bisogno la nostra nazione sono i figli”. L’onorevole Alice Bonguerrieri, membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, intervenendo a inizio marzo all’evento “Family Affairs. La denatalità tra tutela del lavoro e scelte consapevoli“, ha individuato subito il problema che sta compromettendo il futuro dell’Italia. E ha anche rivendicato la bontà del cammino intrapreso dal Governo Meloni: “Famiglia, pari opportunità e natalità sono al centro del programma politico e dell’azione del Governo Meloni. Già ci sono stati segnali chiari nella prima Finanziaria, nonostante il poco tempo e le poche risorse a disposizione”.

L’aumento dell’Assegno Unico, l’agevolazione sull’Iva per l’acquisto dei prodotti della prima infanzia, l’agevolazione per l’acquisto per la prima casa per le giovani coppie, 1 mese di congedo parentale in più retribuito all’80% sono tutti segnali che dimostrano, a detta dell’onorevole Bonguerrieri, che una certa strada politica è stata intrapresa.

I numeri che abbiamo visto fino ad ora però indicano un’urgenza maggiore. Il punto di partenza deve essere la dimensione economica del fenomeno e la necessità di reperire subito le risorse economiche per attuare le azioni indifferibili. Questo a partire dalla prossima riforma fiscale, che è chiamata a rispettare i principi dell’equità orizzontale previsto dall’art. 53 della Costituzione e quindi a considerare la numerosità dei figli, rivedendo integralmente il meccanismo dell’ISEE.

Le giovani coppie devono essere messe in grado di costruire un progetto di vita in un’età molto più anticipata rispetto ad oggi. Serve investire sul lavoro femminile, rendendo realmente possibile una vera conciliazione tra il lavoro e la vita familiare, anche valorizzando le iniziative positive di alcune imprese italiane.

Anche il campo della migrazione ha bisogno di un intervento istituzionale urgente per progettarne una gestione diversa dall’attuale, che favorisca l’ingresso e la regolarizzazione veloce di persone in grado di portare reali benefici al tessuto sociale e lavorativo italiano, fermo restando il dovere di accoglienza delle popolazioni in fuga dai conflitti.

E tutto questo, per citare le parole di Bordignon: “non possiamo farlo domani. Dovevamo farlo ieri. Facciamolo oggi senza esitazioni”.

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