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Ecco come sarà la riforma fiscale del Governo Meloni | L’anticipazione

«Siamo alle battute finali. Il fisco può essere una leva per accelerare la ripresa, i tempi sono maturi per una riforma strutturale che cambi un’impostazione ormai datata del sistema tributario». Dopo mesi di lavoro la riforma fiscale è in dirittura d’arrivo. Con ogni probabilità, il progetto di legge delega sulla riforma potrebbe approdare in Consiglio dei ministri già la settimana prossima. A confermarlo è stato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.

Il progetto di revisione fiscale prevederà tre aliquote Irpef, il taglio dell’Ires, l’abolizione dell’Irap, la rimodulazione delle aliquote agevolate dell’Iva, ma le coperture sono una grande incognita, perché la delega si limiterà ai principi, senza indicare nel merito i nuovi scaglioni. Il titolare del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, annuncia «un graduale processo di riduzione del carico fiscale» e sulle tempistiche rimane prudente. Per la sua riforma, l’esecutivo Draghi aveva messo da parte 3 miliardi grazie al fondo alimentato dalle entrate strutturali derivanti dalla lotta all’evasione. Il centrodestra assicura che l’attuazione della riforma non peserà sui conti pubblici, però non si conoscono ancora le risorse disponibili, se non, appunto, l’impegno a trovare dei margini dalla revisione di deduzioni e detrazioni.

Non è ancora chiaro quanti possano essere i risparmi, ma questo si vedrà con il tempo, appunto, perché la riforma fiscale dovrebbe partire da un terreno diverso: la tassazione delle imprese e, in parallelo, una trasformazione dei sistemi di accertamento fiscale in modo da ridurre un’evasione oggi stimata fra 75 e cento miliardi di euro l’anno. Il primo fronte della riforma potrebbe essere l’imposta sui redditi delle società, l’Ires. E potrebbe entrare in vigore insieme all’adozione in Italia, all’inizio del 2024, della “Global minimum tax” sulle multinazionali da oltre 750 milioni di dollari di fatturato.

L’Ires immaginata da Maurizio Leo mutua parte di questo principio anche per le imprese più piccole e tutte italiane: l’aliquota di base resta al 24%, ma può ridursi (potenzialmente) fino al 15% se l’impresa, invece di distribuire gli utili agli azionisti, li impiega nel biennio successivo in investimenti innovativi (modello “Industria 4.0”), per spese in software proprietario, in brevetti e disegni (“Patent box”), oppure se usa quegli utili per assumere i disoccupati più ai margini del mercato del lavoro. Nel mondo delle imprese c’è preoccupazione che un incentivo disegnato così porti l’Agenzia delle entrate a sindacare su ogni voce del bilancio, di fatto sedendosi in cabina di guida accanto ai manager dell’impresa.

Quanto al capitolo evasione, il mantra che viene ripetuto è che bisogna cambiare l’approccio per migliorare l’accertamento. Intanto, le parti sociali attendono di conoscere il testo e avanzano le prime richieste. La Confedilizia, in particolare, si aspetta che non ci sia alcun «tentativo di aumentare le tasse sugli immobili attraverso il catasto», auspicando invece un intervento contro «le distorsioni che continua a provocare la patrimoniale annuale sugli immobili, che occorrerebbe sostituire con un tributo locale legato ai servizi forniti dai Comuni».

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