Sul Corriere della Sera Maurizio Ferrera indica tre passi per rendere più solida l’Unione Europea.
Molti partiti nati come anti-Ue – egli osserva – oggi guidano o partecipano ai governi dei loro Paesi.
L’ evoluzione ideologica e politica della galassia euro-scettica apre quindi spazi per la ricerca di un consenso largo sui «fondamentali» politici dell’Unione.
Quali potrebbero essere i fondamentali politici su cui convergere?
Il più ovvio ed elementare sembra in larga parte già acquisito: accettare l’esistenza della Ue e non opporsi (anzi favorire) la sua sopravvivenza.
Da questa scelta di campo iniziale discendono almeno tre importanti implicazioni, sulle quali s’intravedono segnali di disponibilità.
La prima riguarda i confini esterni.
Nel nuovo contesto geo-politico, il controllo del territorio è una condizione imprescindibile per la tenuta dell’Unione, soprattutto negli ambiti dell’immigrazione e della difesa.
La seconda implicazione riguarda le «condivisioni» fra Paesi.
L’interdipendenza sempre più profonda fra le economie e le società europee richiede la predisposizione di meccanismi permanenti di solidarietà e investimenti comuni, soprattutto in situazioni di emergenza (come è stato per la pandemia).
La terza e più delicata implicazione riguarda l’introduzione di procedure decisionali più efficienti.
Difficile discutere di questo con i Patrioti.
È tuttavia possibile aprire un dialogo con i Conservatori.
Durante la campagna elettorale, il loro mantra è stato quello di trasformare la Ue da un gigante burocratico a uno politico.
Come procedere in questa direzione senza una cabina di regia capace di prendere e attuare rapidamente le decisioni collettive?
C’è da sperare che l’esperienza di governo faccia maturare questa consapevolezza anche fra i partiti del gruppo Ecr.
L’Unione resta ancora oggi in bilico tra fragilità esistenziale e resilienza contingente.
Per superare la morsa bisogna oltrepassare i cordoni sanitari e favorire la conversione degli euro-scettici da forze anti-sistema a partiti euro-leali.