Il Pnrr può essere un’occasione per sanare le differenze tra Nord e Sud, oppure un’ulteriore mezzo per consolidare le mancanze? Ne parla il sociologo Domenico De Masi analizzando nei dati la questione. «Nel 1861» spiega, «quando gli italiani erano 25.756.000, il Pil pro-capite (a prezzi del 1911) era di 336 lire, equivalente a 1.993 euro attuali. Quello del Sud, dove vivevano 9.500.000 persone, era di 335 lire e quello del Nord era di 337 lire».
«Nel 2010, quando gli italiani erano diventati 60,6 milioni, il Pil pro-capite (sempre a prezzi del 1911) era di 4.328 lire; quello del Sud, dove vivevano 20.908.000 persone, era di 2.906 lire e quello del Nord di 4.987 lire», sostiene. «Praticamente, al momento dell’Unità d’Italia, ogni meridionale disponeva di un reddito pressoché pari a quello di un settentrionale; 150 anni dopo, ogni meridionale dispone di un reddito pro-capite che è circa la metà di quello di un settentrionale» afferma su InPiù.net.
«La Campania (per fare un esempio) è al centro del Mediterraneo, ha un clima mite, un terreno fertile, una grande storia, monumenti e panorami invidiabili ma il suo Pil pro-capite è di 18.500 euro contro i 38.000 della Lombardia».
«A Milano è di 53.232 euro, come in Svezia; a Napoli è di 25.634euro, come nella Slovenia o nel Bahrein. Da Francesco Severio Nitti in poi si sono moltiplicati gli studi per spiegare questo divario crescente e per indicarne i rimedi. Il 10 agosto 1950 fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno con un finanziamento per il primo decennio di 1.000miliardi poi aumentati a 1.280».
«Nell’anno in cui la Cassa entrò in funzione, il Pil pro-capite del Sud (546 lire a prezzi del 1911) era il 53% del Pil pro-capite del Nord (1.022 lire); trentaquattro anni dopo, nel 1984, quando la Cassa fu soppressa, il Pil pro-capite del Sud (2.348 lire) era il 63% del Pil pro-capite del Nord (3.705 lire). Dunque, il divario era diminuito di dieci punti anche se restava enorme. Oggi, invece, il Pil pro-capite è di 35.600 euro nel Nord e di 19.200 euro nel Sud. Dunque, dopo 70 anni dalla costituzione della Cassa, il divario è tornato al 53%, cioè allo stesso livello del 1950».
«Questo dimostra non solo le inadempienze del potere centrale ma anche e soprattutto che il Sud ha una intrinseca incapacità di organizzare e valorizzare le risorse di cui dispone, a prescindere dal loro ammontare. Nel settennato 2014-2020 l’Italia è riuscita a spendere appena il 43% dei 72miliardi ricevuti dall’Europa nell’ambito dei vari fondi strutturali ma sono state le regioni del Sud a registrare i massimi ritardi rispetto alle scadenze di attuazione e i principali problemi in termini di capacità attuativa».
«Come se non bastasse, secondo i dati raccolti dall’Ufficio valutazione di impatto del Senato, i controlli fatti dalla Finanza tra il 2014 e il 2016 hanno riscontrato che nel Mezzogiorno si è concentrato l’85% di tutte le frodi su fondi strutturali e spese dirette della Ue. Ciò legittima due realistici timori: tranne che avvenga un miracolo, difficilmente il Mezzogiorno saprà spendere bene e in tempo utile i fondi ancora più cospicui che stanno per arrivargli dal Recovery Fund; per una sventurata eterogenesi dei fini, proprio a causa di questo Piano, a partire dal 2026 il divario con il Nord aumenterà ulteriormente perché le regioni settentrionali sanno progettare, realizzare e amministrare meglio di quelle del Sud.
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