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Domenico De Masi (sociologo): «Il reddito di cittadinanza ha bisogno di ritocchi, non di una rivoluzione»

Nei 36 Paesi dell’Ocse l’11% della popolazione vive in povertà relativa; in Italia la percentuale è del 15% e il 7% vive in povertà assoluta. Varando il Reddito di Cittadinanza (RdC) nel marzo 2019, il nostro Paese è stato l’ultimo ad avviare questa forma di welfare e il penultimo per quanto riguarda l’ammontare economico del sussidio.

Il Rei adottato due anni prima contemplava una procedura molto più complicata, una platea e una somma molto minori. Il primo gennaio 2019 i poveri assoluti in Italia erano circa 5 milioni così composti: circa 3 milioni erano minori, vecchi e invalidi incapaci di lavorare; circa 1 milione erano lavoratori che guadagnavano così poco da restare poveri assoluti; circa 1 milione erano disoccupati occupabili ma con scarse capacità lavorative.

Come si vede, nella galassia della povertà convivono cittadini occupabili e inoccupabili per cui, al contrario di quanto si è sentito dire, le politiche attive e i sussidi, intrecciati tra loro, sono difficilmente separabili. Entro luglio 2021 i nuclei familiari che percepivano mediamente un importo mensile di 559 euro erano 1.655.343, pari a 3.550.342 persone.

Il tasso di copertura delle famiglie in povertà assoluta da parte del RdC era pari al 44%; quasi il 60% dei percettori poveri è riuscito a oltrepassare la soglia di povertà assoluta.

Ma il RdC, oltre al beneficio economico, prevede la partecipazione a due tipi di attività concordate con il nucleo familiare: quelle promosse dai servizi sociali per consentire ai poveri di superare il disagio sociale; quelle organizzate dai Centri per l’impiego e dai navigator per potenziare le competenze professionali. Su 1 milione di poveri disoccupati, 352.068 (pari al 34%) sono diventati beneficiari di patti per il lavoro grazie all’opera dei 2.633 navigator.
 
Preceduto, accompagnato e seguito da un’intensa campagna denigratoria – sfociata nella richiesta, da parte di “Italia Viva”, di un referendum per la sua abolizione – il RdC ha avuto 34 mesi di collaudo risultando, secondo il “Rapporto Caritas” (487 pagine fitte di tabelle e grafici), “un insostituibile strumento di promozione umana”.

Lo stesso “Rapporto Caritas” che ha monitorato scrupolosamente i 32 mesi di questa inevitabile sperimentazione, sostiene che non occorre rivoluzionare l’attuale RdC ma soltanto apportarvi un insieme limitato d’interventi mirati per sanarne puntualmente le criticità evidenziate.

Così, ad esempio, è assurdo che, per ottenere il RdC, agli stranieri siano necessari 10 anni di residenza in Italia; occorre innalzare le soglie economiche al Nord; occorre abbassare le soglie economiche delle famiglie di piccole dimensioni; innalzare in tutta Italia le soglie del patrimonio immobiliare; migliorare gli strumenti di misurazione delle condizioni economiche delle famiglie; mettere a punto il metodo per intercettare i falsi poveri e per remunerare meglio i poveri veri; introdurre una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose; migliorare gli incentivi al lavoro per chi è occupabile; progettare interventi adatti per chi non è occupabile.

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