Su Repubblica Gabriele Romagnoli si occupa del Conclave, che si apre oggi.
E ieri – racconta – sono state portate via le insegne di Papa Francesco da Santa Marta, quella che è stata la sua casa e ora diventa dei cardinali.
In attesa di essere rinchiusi per designare l’erede, già ieri appunto hanno mangiato e dormito tra quelle mura mentre l’ombra di Francesco veniva spostata più in là.
In una giornata di sole giaguaro se ne filava via sotto il porticato dove reggevano gli ultimi altarini. Quelli creati dai clochard a cui aveva dato un tetto per ripararsi dalla notte e che, molto più di chiunque altro, si domandano che ne sarà di loro da domani, o dopodomani.
Si dissolveva lungo via della Conciliazione, andando controcorrente rispetto al flusso dei pellegrini avviati verso la porta santa, per un ingresso prenotato senza immaginare quanto fatidica sarebbe stata la data.
Il corpo di Francesco si è allontanato già nel giorno del funerale, ma è in quest’ultimo sprazzo, nell’anticamera della successione, che si dilegua la sensazione della sua permanenza.
Tutti, perfino un pontefice, possono sopravvivere in un vuoto, ma non nel suo riempimento.
Gentile come si era presentato, si fa da parte.
Diventa storia, scritta da chi lo ha amato o detestato, questo ben presto sapremo.
La pagina è ancora sollevata, come quella del Vangelo sfogliato dal vento sulla sua bara.
Si poserà con la fumata bianca e dirà se il capitolo precedente si chiude e per proseguire si volta o se si va semplicemente a capo, continuando la narrazione brevemente interrotta.
Quando un’epoca finisce con una vigilia la nostalgia si mischia con l’eccitazione.
Se tutto cambierà, ciò che è stato invecchierà di colpo.
Non puoi chiedere al mondo di aspettare, ricordare, ancor meno puoi pretenderlo da una città come Roma.