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La ripartenza del sistema giustizia e il ruolo dei tirocinanti: spunti per una riflessione in vista della creazione della figura degli assistenti giudiziari

In questa complessa e delicata fase di riprogettazione del sistema Paese il tema o, meglio, il sistema della Giustizia si colloca indubitabilmente in una posizione di assoluta rilevanza. Basti osservare l’importanza riservata alla riforma della Giustizia nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, strumento – attualmente all’esame del Senato della Repubblica – di implementazione interna del progetto europeo, tanto ambizioso quanto indispensabile in un’ottica di ripresa, Next Generation EU[1]. L’Italia, se vuole aspirare ad uscire rinnovata dalla pandemia, come Paese caratterizzato da maggiore equità, sostenibilità ambientale, inclusività sociale e con un’economia più competitiva e dinamica – secondo le linee programmatiche del Piano – non può fare a meno anche di incisivi interventi nel delicato settore della Giustizia, finalizzati a rendere più celeri e snelle le procedure giudiziarie, nel settore civile e penale, così come in quelle del plesso giurisdizionale amministrativo.

Se ne dimostrano pienamente consapevoli le linee programmatiche della Ministra della Giustizia, esposte nel recente intervento avanti la Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, tenutosi lo scorso 18 Marzo 2021 (di poco successivo all’intervento presso la corrispondente Commissione della Camera dei Deputati)[2]. Nell’ambito dell’articolato progetto illustrato dal Guardasigilli grande attenzione è stata riservata alla questione dell’implementazione e della valorizzazione delle risorse umane, tra l’altro, nell’ottica della promozione del c.d. Ufficio per il processo, istituto introdotto e disciplinato dall’art. 16-octies D.L. n. 179/2012, conv. con L. n. 221/2012, nella versione vigente a seguito della modifica apportata dall’art. 50 D.L. n. 90/2014, conv. con L. n. 114/2014.

Promozione che – stando, ancora una volta, al citato intervento della Prof.ssa Marta Cartabia – passa per il rafforzamento della capacità decisionale del giudice, il quale si alimenta, tra l’altro, dell’inserimento nel suo «staff [de]gli assistenti – sul modello dei clerks dei paesi anglosassoni – incaricati della classificazione dei casi, della ricerca dei precedenti giurisprudenziali e dei contributi dottrinali pertinenti, della predisposizione di bozze di provvedimenti».

Proprio intorno a questo segmento del processo rinnovatore del sistema Giustizia si vogliono appuntare queste brevi riflessioni.

In premessa, è opportuno ricordare – ai non addetti ai lavori – che un contributo al quotidiano e concreto esercizio dell’attività giurisdizionale deriva – pure – dalla presenza negli Uffici giudiziari (requirenti e giudicanti, di merito e di legittimità) di giovani, solitamente laureati da poco (con una votazione almeno pari a 105/110 oppure che abbiano riportato una votazione elevata in alcuni esami “fondamentali” del proprio cursus studiorum), e desiderosi di dedicare 18 mesi ad un’esperienza di fattiva applicazione del diritto, appreso, sino a quel momento, prevalentemente sui manuali universitari: vuoi per integrare il tirocinio professionale per l’accesso all’avvocatura (più raramente quello al notariato), vuoi per accedere al concorso in magistratura, vuoi anche solo per orientarsi, nell’attuale contesto connotato da una crescente complessità, in vista dell’assunzione di ulteriori decisioni circa il proprio destino lavorativo.

I compiti degli ammessi allo stage sono descritti, anzitutto, dall’art. 73 D.L. n. 69/2013, conv. con L. n. 98/2013 – norma con cui questa figura è stata introdotta nell’ordinamento – ove si specifica che gli stessi, «sotto la guida e il controllo del magistrato» (il magistrato formatore, che «redige, al termine dello stage, una relazione sull’esito del periodo di formazione e la trasmette al capo dell’ufficio»), «hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze del processo, anche non pubbliche e dinanzi al collegio, nonché alle camere di consiglio». Al fine di comprendere appieno quali sono le molteplici attività concretamente affidate ai tirocinanti si deve avere riguardo ai c.d. mansionari, redatti dai singoli Uffici giudiziari in ossequio alle previsioni contenute nelle risoluzioni del C.S.M. che si sono occupate di gettare lumi sulla materia e di dettare linee guida uniformi[3].

A mero titolo di esempio, si consideri il progetto di tirocinio redatto dalla Corte d’Appello di Bologna, giusta il quale il tirocinante è tenuto a svolgere – tra le altre – le seguenti attività:

  • verifica dell’esatta trasmissione da parte della cancelleria di tutti i fascicoli delle udienze della settimana;
  • riordino e verifica della completezza degli atti dei fascicoli di ufficio e di parte (verbali delle udienze, originali dei provvedimenti, scritti difensivi delle parti ecc.) e loro sistemazione;
  • verifica della regolarità delle notifiche; preparazione delle udienze in affiancamento al magistrato formatore, con studio dei fascicoli indicati dal magistrato; preparazione, previa discussione con il magistrato formatore, della scheda del procedimento;
  • studio del fascicolo e preparazione dello schema della relazione orale per la camera di consiglio;
  • affiancamento alla cancelleria per esigenze particolari; redazione del verbale di udienza sotto la direzione del presidente del collegio;
  • partecipazione alle camere di consiglio;
  • studio di alcuni fascicoli assegnati dal magistrato formatore e discussione con lo stesso;
  • redazione di una bozza del provvedimento, previa discussione e studio;
  • a richiesta e su istruzioni del giudice, raccolta e selezione ragionata di massime giurisprudenziali pertinenti alla fattispecie oggetto del redigendo provvedimento;
  • approfondimenti su questioni di diritto ricorrenti e/o particolarmente complesse, redazione di sintesi delle posizioni di dottrina e giurisprudenza su argomenti indicati dal magistrato formatore.

Peraltro, va ribadito che lo stage ex art. 73 cit. è stato concepito – essenzialmente – come occasione di formazione per i giovani giuristi, come emerge dalla medesima norma, laddove prevede che «essi sono ammessi  ai  corsi  di  formazione  decentrata  organizzati per i magistrati dell’ufficio ed ai corsi  di  formazione  decentrata  loro specificamente dedicati e organizzati con cadenza  almeno  semestrale secondo programmi che sono indicati per la formazione  decentrata  da parte della Scuola superiore della magistratura». Formazione, questa, che si aggiunge a quella derivante dalla quotidiana frequentazione degli Uffici e dall’affiancamento ai magistrati.

Ad ogni modo, le concrete esperienze dei tirocinanti dislocati sul territorio nazionale – chi scrive ha avuto occasione di viverla nel recente passato – possono comunque assumere declinazioni tra loro non perfettamente collimanti, tenuto conto dei variabili moduli organizzativi dei diversi Uffici, nonché del peculiare e, anche dal punto di vista umano, unico, rapporto che lega ciascun magistrato formatore al proprio tirocinante.

Nell’Ufficio per il processo si trovano inserite ulteriori figure di tirocinanti, giusta una disciplina contenuta in altre fonti normative (che meriterebbero un miglior coordinamento tra loro), i quali sono destinati a svolgere mansioni analoghe. Tralasciando qui i tirocini curricolari, che sono parte del completamento della formazione universitaria ovvero di quella nelle SSPL (art. 16 D.lgs n. 398/1997), si possono ricordare il Tirocinio ex art. 37 L. n. 111/2011, previsto in sostituzione del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato, nonché il Tirocinio ex art. 44 L. n. 247/2012 (e D.M. n. 58/2016), anch’esso parzialmente sostitutivo della pratica forense.

Nella cornice ora concisamente tratteggiata, si inserisce la proposta della Ministra Cartabia, la quale va salutata con favore in quanto mira a valorizzare alcuni aspetti senz’altro positivi dell’esperienza dei tirocini negli Uffici giudiziari, che, come confermano i dati diffusi nella più recente Risoluzione del C.SM., è davvero significativa: il tirocinio ex art. 73 L. n. 98/2013 è stato infatti istituito nell’82% dei Tribunali; il tirocinio di cui all’art. 37 L. n. 111/2011 è in atto nel 36% circa dei Tribunali.

Orbene, pur nella consapevolezza che chi intraprende la strada del tirocinio guarda ad essa solo come ad un segmento di un più vasto progetto personale di vita o, comunque, ad un un’esperienza limitata nel tempo e fisiologicamente destinata a lasciare il passo a un futuro professionale differente, occorre a mio avviso riflettere sull’opportunità di potenziare l’apporto recato dai tirocinanti nel solco delle seguenti possibili direttrici di riforma.

In primo luogo, bisognerebbe prevedere la possibilità di prolungare, quantomeno raddoppiandone la durata, lo stage negli Uffici giudiziari (penso, essenzialmente, a quello ex art. 73 cit.). È vero che, attualmente, l’art. 16-octies, comma 1-bis L. n. 221/2012 contempla la possibilità per i soggetti, i quali abbiano completato lo stage ex art. 37 L. n. 111/2011, di far parte dell’Ufficio per il processo onde svolgere un ulteriore periodo di perfezionamento, di durata non superiore a dodici mesi: costoro, tuttavia, come dispone la norma medesima, sono destinati «in via prioritaria a supporto dei servizi di cancelleria».

Si tratterebbe, a mio avviso, di garantire invece la possibilità a chi abbia compiuto proficuamente l’esperienza del Tirocinio, a supporto alle attività del magistrato, di continuare a prestare tale servizio. In tal modo, si potrebbero raccogliere i migliori frutti della formazione dei tirocinanti; frutti che, attesa la complessità del lavoro svolto negli e per gli Uffici, sono ragionevolmente destinati a maturare proprio nell’ultimo periodo dello stage.

Qualora, com’è auspicabile, si prevedesse la corresponsione ai tirocinanti di un emolumento per l’attività svolta, almeno per il periodo “di proroga” d’importo superiore a quanto attualmente previsto (ad oggi il tirocinante ex art. 73 cit. può ottenere una borsa di studio di euro 400 erogata sulla base dell’ISEE, calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell’ambito  del  diritto  allo  studio  universitario, nei limiti delle risorse disponibili), si consentirebbe ai medesimi, i quali magari si stanno preparando per sostenere il concorso d’accesso alla magistratura – com’è noto, altamente selettivo – di avere di che sostentarsi.

In secondo luogo, si potrebbe pensare a una vera e propria istituzionalizzazione della figura – non più allora del tirocinante, bensì – dell’assistente giudiziario, quale soggetto chiamato a offrire supporto al magistrato nell’attività di ricerca e di studio, nonché di preparazione dell’udienza e dei provvedimenti (beninteso, sotto il costante controllo e la direzione di costui). Peraltro, l’assistente potrebbe essere posto a servizio non solo di un singolo magistrato, bensì pure di un’intera Sezione, tenuto conto del fatto che, quantomeno nelle realtà più grandi e articolate, questa si occupa, tendenzialmente, di alcune materie soltanto, rispetto alle quali, dunque, l’attività di ricerca e studio svolta potrebbe tradursi in un apporto a disposizione di tutti i magistrati che vi sono incardinati.

Si tratta, se ne è avvertiti, di una riforma ambiziosa, perché, in sostanza, si tratterebbe con la stessa di dar vita a un nuovo ruolo all’interno dell’ordinamento giudiziario, secondo un modello differente da quello dei magistrati addetti all’Ufficio del massimario della Corte di cassazione.

Le vie astrattamente percorribili sono due.

Procedere all’assunzione, mediante concorso, di assistenti giudiziari con contratti a termine di lunga durata, in funzione di smaltimento dell’arretrato. Oppure, più coraggiosamente, si potrebbe pensare all’assunzione a tempo indeterminato di tale personale, subordinando l’accesso al relativo concorso al positivo espletamento di un periodo di tirocinio (segnatamente quello disciplinato dall’art. 73 cit.). Credo che questa seconda via possa ritenersi preferibile, dacché l’assunzione – tenuto conto dell’attuale contesto di crisi della professione forense e di elevata complessità dell’accesso alla magistratura – consentirebbe di offrire a molti brillanti laureati in giurisprudenza una prospettiva lavorativa appagante e, al contempo, di assicurare un supporto più stabile all’esercizio della funzione giurisdizionale, anche per il contenzioso del domani.

Naturalmente, il recepimento di un’innovazione strutturale siffatta dovrebbe accompagnarsi al rafforzamento delle capacità di management dei Capi degli Uffici giudiziari, chiamati ad un supplemento in termini di organizzazione delle risorse umane, nonché alla predisposizione di un’efficace ed attento sistema di monitoraggio della performance, tanto dei magistrati, quanto degli stessi assistenti giudiziari.

Un’ultima notazione, che vuol essere soltanto un timido invito ad una più ampia riflessione, concerne il delicato problema dell’accesso ai ruoli della magistratura (quantomeno di quella ordinaria), che deve avvenire, secondo la Costituzione (art. 106), per concorso, il quale, a seguito delle riforme degli ultimi lustri è divenuto di “secondo livello”. Orbene, in un’ottica di ripensamento del sistema di reclutamento dei magistrati non si può fare a meno di tener conto dell’esperienza maturata da chi abbia prestato servizio, ancorché in cambio di emolumenti di importo modesto, a supporto dell’amministrazione della giustizia.

Certamente non si può negare l’accesso a detto concorso a chi non abbia ricoperto il ruolo di tirocinante o, comunque, di assistente giudiziario. Purtuttavia, ben si potrebbero riservare una (piccola) parte dei posti messi a concorso a chi tali funzioni abbia esercitato – ma il discorso dovrebbe essere esteso, forse, ai giudici onorari – al fine di immettere in servizio soggetti già dotati di una certa esperienza, oltre che di una elevata preparazione, rimanendo indiscussa in ogni caso la necessità di superare per merito la difficile prova concorsuale.

Peraltro, una più prolungata frequentazione degli Uffici giudiziari, seppur in una posizione senz’altro cadetta rispetto a quella del magistrato, che si assommerebbe alla successiva formazione in qualità di M.O.T. (coloro che hanno cioè appena superato il concorso), potrebbe giovare alla maturazione, in coloro che intendono prestar servizio nell’amministrazione della Giustizia, dei valori della «lealtà collaborativa, dell’idea di servizio a vantaggio di altri», cui l’esercizio della «fondamentale funzione giurisdizionale», com’è stato scritto, dev’essere necessariamente improntata[4].


[1] Si veda altresì la recente memoria del Ministro dell’economia e delle finanze Daniele Franco in audizione al Senato (https://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/articoli/2021_2023-Daniele_Franco/Memoria-del-Ministro-Franco-sulla-Proposta-di-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-Commissioni-congiunte-5a-6a-e-14a-Senato-della-Repubblica-V-VI-e-XIV-Camera-dei-deputati-08-marzo-2021/).

[2] Che si può riascoltare al seguente link: https://www.gnewsonline.it/cartabia-linee-programmatiche-sulla-giustizia/.

[3] V. “Risoluzione sui tirocini formativi presso gli uffici giudiziari”, adottata con delibera del 24 luglio 2019 e già, in precedenza, “Risoluzione sui tirocini formativi presso gli uffici giudiziari”, adottata con delibera del 29 aprile 2014.

[4]  Intervento del Prof. Balestra su Riparte l’Italia, “Occorre riformare la magistratura puntando sulla formazione non solo tecnico-giuridica ma anche sull’equilibrio e sull’etica della funzione giudiziaria. Il Csm si svincoli dalle logiche correntizie e dall’appartenenza a gruppi”, del 10 luglio 2020.

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