Il riarmo competitivo – osserva su Milano Finanza Carlo Pelanda – è evidente sia nel blocco delle autocrazie sia nell’alleanza delle democrazie, nonché in alcune nazioni di collocazione intermedia tra i due schieramenti (Sud globale) tra cui spicca una strategia autonoma di ricerca della superiorità da parte dell’India e una di potenziamento militare urgente da parte dell’Arabia Saudita. Tale situazione rimette al centro dell’analisi finanziaria italiana l’industria militare-tecnologica finora considerata un laterale, entro uno scenario globale di massimizzazione della deterrenza e ricerca conseguente della superiorità.
L’America, che vinca un democratico o repubblicano nelle elezioni presidenziali e di parte del Congresso nel prossimo novembre, chiederà agli alleati europei un maggiore sforzo di spesa e impegno militari globali, non solo entro la Nato, perché il potenziale statunitense, pur di superpotenza, ha limiti nei confronti della sfida posta da Cina, Russia, Iran e Corea del Nord nonché dai loro proxy sia statuali sia non. L’America non si ritirerà dalla politica di presenza globale come alcuni analisti temono, ma dovrà privilegiare alcuni fronti come presidio diretto e massivo gestendone altri con il contributo più attivo degli alleati, fornendo loro un aiuto ombrello.
La Germania ha una situazione di bilancio statale che le permette di dedicare 100 miliardi extra al riarmo. La Francia ha meno spazio fiscale, ma sta perseguendo la priorità del riarmo cercando di aumentare l’export di armamenti e tecnologie correlate. L’Italia ha un minimo spazio fiscale. Si è impegnata in modo competitivo nel progetto di caccia di sesta generazione con Regno Unito e Giappone e in quello spaziale Artemis (Nasa), ma, appunto, la capacità di bilancio statale ha dei limiti. Per superarli servirebbe all’Italia un Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) su modello statunitense aperto a investimenti privati su innovazioni che dal civile passino al militare e viceversa.