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Nel 2225 nascerà l’ultimo italiano | L’analisi di Ramiro Baldacci

Siamo già arrivati alla conta finale. I dati sugli indicatori demografici dell’Italia pubblicati dall’Istat il 29 marzo non lasciano spazio a interpretazioni. La situazione della natalità in Italia è drammatica. Come avvisano i gineocologi, nel 2225 nascerà l’ultimo italiano. C’è già una data di scadenza per il nostro Paese.

E’ inutile dire “l’avevamo detto”, come dimostrano le nostre previsioni del 15 gennaio 2024. Il problema è troppo grave per fermarsi al dato numerico. E’ necessario affrontarlo a 360 gradi, con un piano strutturato, economicamente e socialmente sostenibile, che dia risultati in tempi molto più brevi di quelli che si potevano immaginare prima della pubblicazione di questi dati.

L’allarme dei ginecologi: in Europa abbiamo i numeri più bassi

A evidenziare questa situazione tra i primi sono stati i ginecologi. “La denatalità in Italia è un problema drammatico”, ha dichiarato all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), commentando i dati dell’Istat che evidenziano il calo delle nascite. Nel 2023 in Italia i nati residenti sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022).

“Le proiezioni che abbiamo – ha evidenziato Trojano – ci dicono che, se il trend continuerà, nel 2225 nascerà l’ultimo italiano. Quello delle poche nascite non è certo solo un problema nostro, ma in Europa abbiamo i numeri più bassi. C’è un grosso problema di welfare che non permette alle donne in età fertile di avere un figlio, ma sono costrette a rimandare la maternità con tutte le conseguenze che si conoscono. C’è anche il problema della precarietà che influisce sulla scelta di avere un figlio. Insomma, è chiaro che dobbiamo aiutare di più i giovani perché una gravidanza proiettata troppo in là nel tempo abbassa la possibilità del concepimento”.

Il parere dei neonatologi: “Quella della denatalità è una tendenza inarrestabile”

Un’altra voce che si alza dal mondo della sanità è quella dei neonatologi. Luigi Orfeo, presidente della Sin, la Società italiana di neonatologia, ha commentato i dati dell’Istat sostenendo che quella della denatalità è “una tendenza nel nostro Paese inarrestabile e su cui – forse – non c’è più nulla da fare perché nella responsabilità si mescolano tanti fattori”.

“Dal 1995 c’è stato un continuo calo della natalità – ha detto Orfeo, direttore Uoc di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina-Gemelli Isola di Roma – preoccupa anche il tasso di fertilità delle donne sempre più basso, con un’età media del primo figlio che si alza a 32-33 anni. Siamo in grave ritardo rispetto alla possibilità di invertire questa rotta e comunque i risultati sarebbero visibili tra 10-20 anni”.

Le società scientifiche interessate, come la Sin, “possono fare la loro parte con una campagna di informazione e divulgazione su come l’orologio biologico incida sulla fertilità femminile ma anche maschile, un concetto spesso ignorato da molti giovani: fare un figlio a 20 anni è un discorso, quando si superano i 35 anni diventa tutto più difficile. Parlare di questi concetti nelle scuole – conclude – sarebbe fondamentale per far crescere la consapevolezza”.

L’impatto del calo demografico

Non è solo il mondo della scienza ad alzare la voce su questo tema. Il problema della natalità, infatti, non è un tema solo di numeri, quasi fosse un fine esercizio per statistici esperti. Il calo demografico impatta su tutto il mondo come lo conosciamo oggi. Le sue conseguenze colpiscono l’economia, il PIL, la sanità, il lavoro, l’occupazione, la scuola, le università, le imprese, il welfare, le pensioni, la previdenza… e la lista è ancora lunga.

La natalità non può neanche essere consideata una tematica di uno specifico schieramento politico. I bambini che nascono (o meglio, che non nascono) non sono né di destra né di sinistra. Sono solo italiani mancati, sono un pezzo di futuro che viene tolto al nostro Paese. Il problema deve essere sentito da tutti, sia da chi vota, sia da chi non vota, sia da chi crede, sia da chi non crede.

Non convince neanche il tema dell’immigrazione. Non può essere quella la soluzione, sono i dati stessi a dimostrarlo. Sia perché i flussi migratori dimostrano che la nostra penisola viene il più delle volte considerata una località di passaggio verso altre destinazioni. Sia perché i migranti che decidono di insediarsi nel nostro territorio, rispetto alla natalità assumono immediatamente le abitudini degli italiani, non contribuendo in alcun modo alla modifica del dato anagrafico, come evidenziato dallo stesso testo pubblicato dall’Istat.

Le possibili soluzioni

Chi rimane schiacciato dal peso di questi dati sono i giovani. Su di loro ricadono le aspettative per invertire la tendenza. Ma in realtà a loro non vengono dati i mezzi per contrastare questo fenomeno. E’ come chiedere ai giovani d’oggi di fermare una delle più grandi tempeste dell’ultimo secolo unicamente con la forza delle loro mani. Praticamente impossibile.

Giustamente viene invocato da più parti un piano organico e strutturato che sia aggressivo ed incisivo rispetto alla catastrofe annunciata che stiamo vivendo, come ripetono da tempo Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, e Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni Familiari.

Il Governo, dal suo canto, inserisce un riferimento alla natalità in quasi tutti gli interventi economici che sta mettendo in campo, pur considerando il peso del debito pubblico e della ristrettezza dei fondi disponibili.

Le famiglie intanto hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, devono sostenere costi sempre crescenti per via dell’inflazione e degli scenari di guerra che ci circondano e che determinano una crescita continua dei prezzi.

Ai dati però tutto questo non interessa. La natalità continua a calare sempre più velocemente. Il numero di nati per donna, giunto nel 2023 a 1,20, si sta avvicinando a grandi passi al minimo storico registrato in Italia nel lontano 1995: 1,19. Di questo passo, nel 2024 abbatteremo anche questo dato negativo. E’ chiaro che non fare nulla equivale ad emettere una sentenza definitiva. Economia, infrastrutture, occupazione, lavoro: tutto dovrebbe concorrere ad aiutare le famiglie a dare esito concreto al loro desiderio di natalità – che pure esiste – ma che non trova opportunità di sbocchi.

Senza dimenticare l’aspetto culturale, che forse viene prima ancora di tutti gli altri. La genitorialità deve essere raccontata in maniera positiva, grazie ai suoi aspetti più profondamente umani, indiscutibilmente faticosi, ma ricchi di una soddisfazione che ha sempre permesso al nostro mondo di andare avanti. Ogni nuova generazione è intrisa di quel futuro che deve essere protetto e coltivato, perché possa giungere a maturazione quando noi non ci saremo più. Quella responsabilità che tutti noi abbiamo verso il domani nostro e dei nostri figli deve essere la leva che ci orienta nelle scelte che facciamo nell’oggi. Finché il passato o il presente peseranno più del nostro futuro, il problema della natalità continuerà a rimanere un tema statistico per pochi eletti.

E’ importante il nostro futuro? La scelta è tutta qui. E in base alla risposta che ognuno di noi darà a questo interrogativo, dipenderà la presenza o meno del genere umano domani.

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