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2023, l’anno peggiore di sempre per le nascite in Italia | L’analisi di Ramiro Baldacci

Il 2023 finirà per essere l’anno peggiore dal punto di vista della natalità in Italia. Le proiezioni sono ancora assolutamente provvisorie e speriamo davvero che siano smentite, ma il 2023 potrebbe chiudersi con poco più di 376 mila nascite e un decremento (-4,6%) sui nuovi nati che sarà il più significativo degli ultimi anni.

L’emorragia delle nascite in Italia sembra infatti essere senza fine e con il crollo dei nuovi nati se ne va anche il futuro del nostro Paese.

La centralità dei giovani proposta da Alessandro Rosina

Se l’Italia non inverte la tendenza rischia di trovarsi verso la metà di questo secolo con ventenni che sono la metà dei settantacinquenni“. Questa la prospettiva indicata dal demografo Alessandro Rosina sulle pagine del Quotidiano Nazionale. E la previsione va anche oltre, cercando di anticipare il comportamento e le scelte dei giovani di domani: “Mettiamoci nei panni di quei ventenni: con squilibri di questo tipo saremo per loro un Paese attrattivo? Riusciremo a convincerli a rimanere per pagare il debito pubblico e i costi di un rapporto tra anziani e popolazione attiva tra i più sfavorevoli al mondo?”.

I dati del Censimento pubblicati dall’Istat a fine 2023 – ha ribadito il demografo sulle pagine di Lavoce.info – forniscono le coordinate principali del percorso demografico del nostro paese. Ci dicono che il numero dei residenti dal 2014 è in continua diminuzione e che siamo entrati nel 2023 sotto i 59 milioni di abitanti. Nel corso dell’ultimo anno la popolazione è ulteriormente scesa, trascinata verso il basso da un divario tra nascite e decessi che rimane ampiamente negativo, solo in parte compensato dal saldo migratorio. Una diminuzione che procede in modo differenziato lungo la dimensione territoriale e dell’età“.

Non è un problema di temere la longevità, ma di non saper gestire il corretto ricambio generazionale: “Il Censimento mostra come la perdita di abitanti sia in larga parte concentrata nel Sud Italia e nei centri con meno di 5 mila abitanti (che sono oltre i due terzi dei comuni italiani). Lasciare che gli squilibri demografici aumentino significa lasciare che diventino ancor più fragili i territori già più fragili. E mostra come, rispetto a una popolazione anziana che continua a crescere, sia in spiccata riduzione la consistenza quantitativa delle nuove generazioni. Il processo che più sta incidendo sugli squilibri demografici e con intensità maggiore nel nostro paese è quest’ultimo. Un processo che continuiamo a sottovalutare e a lasciare ai margini del dibattito pubblico“.

Agenzia per la Natalità, Rete di amministratori locali e Tour della Natalità: ecco le proposte di Gigi De Palo

Ancora più diretto l’intervento del presidente della Fondazione per la Natalità Gigi De Palo nella sua intervista rilasciata a Demografica/AdnKronos: “Il problema legato all’attuale scenario demografico non è solo culturale o sociale ma ha impatti diretti su settori cruciali come le pensioni e la sanità. Qualsiasi discussione sui programmi di reddito universale o sugli investimenti nel sistema sanitario sarà vanificata se non si affronta la radice del problema, ovvero il calo delle nascite. L’investimento principale per garantire il futuro delle pensioni e la sostenibilità del sistema sanitario sia proprio la promozione della natalità“.

Non mancano proposte concrete per contrastare il calo demografico: “La proposta della Fondazione è quella di istituire un’Agenzia per la Natalità organizzata e gestita dal governo, con il compito di fungere da cabina di regia per tutte le politiche legate alla natalità provenienti dai vari ministeri. Questo organismo avrebbe il compito di coordinare gli sforzi a livello nazionale, assicurando che tutte le decisioni e gli investimenti siano allineati con l’obiettivo di promuovere e sostenere la natalità“.

Inoltre “il coinvolgimento delle regioni è visto come fondamentale per sostenere le famiglie attraverso l’abbassamento dell’IRPEF e la creazione di servizi innovativi per contrastare la denatalità. I Comuni sono chiamati a contribuire abbassando le tariffe delle mense scolastiche e degli asili nido e creando un ambiente urbano che sia a misura di bambino. D’altronde” conclude De Palo “se le città non sono adatte ai bambini, diventa difficile incentivare la natalità“.

Infine la Fondazione ha organizzato un Tour della Natalità per creare un’opportunità per coinvolgere attivamente il territorio nella riflessione e nelle azioni concrete per affrontare la crisi demografica. Attraverso una serie di eventi locali a Bologna, Palermo, Milano, Roma e Venezia si vuole coinvolgere attivamente le regioni, le associazioni del territorio, e gli amministratori locali per affrontare la sfida della bassa natalità.

La dimensione europea del problema e il contributo fortemente negativo dell’Italia

Secondo il Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, nell’Unione europea negli ultimi 20 anni (dal 2002 al 2022, usando i dati Eurostat comparativi più recenti), la popolazione nella fascia d’età 30-34 – quella di raccordo tra la fase giovane e adulta – è diminuita di 4,4 milioni (da 32,5 a 28,1 milioni). La corrispondente perdita dell’Italia è stata di 1,3 milioni. Si tratta, in termini assoluti, del dato peggiore tra i paesi dell’Ue-27. In termini relativi corrisponde a oltre il 30 per cento della perdita complessiva dell’Unione. Detto in altro modo, quasi un terzo dell’indebolimento delle coorti europee entranti nel pieno dell’età lavorativa lo si deve all’Italia.

Variazione della popolazione in età 30-34 anni. Periodo 2002-2022

Se si guarda invece alla popolazione anziana in condizione più fragile, quella di chi ha 85 anni e oltre, nello stesso intervallo temporale l’aumento è stato di circa 6,2 milioni di abitanti nel complesso Ue-27 e l’Italia ha segnato una variazione positiva di poco meno di 1 milione, pari al 16 per cento dell’aumento complessivo dell’Unione. Un dato sostanzialmente in linea con gli altri grandi paesi con cui ci confrontiamo.

La preoccupazione maggiore dell’Unione europea non è l’aumento degli anziani, ma l’indebolimento della popolazione attiva, a causa della riduzione delle coorti di nuovi entranti in età lavorativa. L’anomalia italiana, che ci caratterizza da troppo tempo, è l’intensità del degiovanimento quantitativo (sempre meno giovani) entrato in circolo vizioso con il degiovanimento qualitativo (debole presenza nella società e nel mondo del lavoro).

Il ruolo delle nuove generazioni nelle economie più mature è quindi quello di rinnovare la forza lavoro portando energie e intelligenze che diventino leva per la crescita competitiva e sostenibile delle aziende e delle organizzazioni, su tutto il territorio nazionale. E invece l’Italia si trova a essere il paese in Europa con una delle peggiori combinazioni tra bassa quota di chi arriva in età 30-34 con un titolo terziario e alta percentuale di Neet, ovvero coloro che non sono in formazione e non hanno un lavoro (25,7 per cento nel 2022 contro una media Ue-27 pari a 15,7 per cento).

Se l’Italia è il paese che maggiormente ha contribuito alla riduzione della popolazione oggi trentenne in Europa, è anche il paese che più contribuisce ad affossare le nascite europee (e quindi i trentenni di domani). I dati Eurostat ci dicono che nell’intera Ue-27 nel 2022 ci sono stati circa 530 mila nuovi nati in meno rispetto al 2012. Il corrispondente valore dell’Italia è di -141 mila: oltre un nato su quattro l’Unione europea l’ha perso in Italia.

Le conseguenze dei cambiamenti demografici: al Nord più soldi che al Sud

A meno di cambiamenti di rotta radicali, i drammatici mutamenti demografici previsti in Italia per i prossimi decenni avranno effetti dirompenti su tutti gli ambiti del nostro sistema di welfare, dalle pensioni all’istruzione, all’assistenza e naturalmente alla sanità. 

L’inverno demografico che investirà il nostro paese, fatto di progressivo spopolamento e di mutamenti profondi nella struttura della popolazione per età, non solo inciderà, come già ampiamente discusso da tanti contributi, sulle necessità di finanziamento e sulle modalità organizzative complessive della sanità pubblica ma, poiché differenziato tra territori, comporterà anche variazioni significative nella ripartizione delle risorse corrispondenti tra regioni. Sembra quasi superfluo ribadire che secondo uno studio di Roberto Fantozzi, Stefania Gabriele e Alberto Zanardi in futuro al Nord andranno necessariamente più soldi che al Sud

Le paure dei giovani: lavoro precario e caro-vita

Forse, per invertire veramente la tendenza, dobbiamo invertire il punto di vista, e partire proprio da quei giovani che oggi potrebbero fare figli e decidono di non farlo.

Deloitte, una fra le più grandi società nei servizi professionali e di consulenza alle imprese, ha dedicato un approfondimento alle preoccupazioni della generazione dei Millennials (nati fra il 1983 e il 994) e la Generazione Z (nati fra il 1995 e il 2003). E, in parallelo alla sensibilità intorno ai temi e ai valori come l’impatto ambientale per ridurre il quale “sono disponibile a fare uno sforzo per proteggere l’ambiente”, queste due generazioni oggi sono “preoccupate” in particolare (e un po’ a sorpresa) per le incertezze sul versante del lavoro e, come conseguenza della situazione macro-economica, per la crescita del caro-vita.

Così solo il 42% della GenZ e il 44% dei Millennial in Italia ha dichiarato di essere in grado di pagare con tranquillità le spese del mese. E sul fronte occupazione, il 67% della GenZ e il 63% Millennial vorrebbe un modello di lavoro ibrido, in cui si può alternare lavoro in ufficio e da remoto con più flessibilità.

Accanto alle tante e giuste iniziative per dare una risposta al calo delle nascite da un punto di vista istituzionale e governativo, ben oltre gli sforzi fatti fino ad adesso, forse bisognerebbe lavorare sulle esigenze che hanno oggi i giovani e che sono le uniche che, una volta soddisfatte o in parte mitigate, potranno dare una risposta positiva a lungo termine per contrastare il calo demografico.

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