“Ci sarà un altro taglio a gennaio. È tempo di politiche neutrali o espansive e i tassi potrebbero arrivare al 2-2,5% entro metà del 2025.
Tagliare di 50 punti base ora avrebbe gettato un’ombra troppo negativa sullo stato dell’economia.
Francoforte invece ha stime di una leggera ripresa per il prossimo anno ed è rimasta prudente”.
Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale ma con un lungo passato nel board di Francoforte, ne conosce le logiche e il linguaggio.
In un’intervista a Class Cnbc pubblicata su MF-Milano Finanza, smonta le argomentazioni sull’azione dell’Eurotower.
“La Bce deve basarsi sulle previsioni – spiega – dichiararsi data depending non è corretto”. È diventato il mantra di Cristine Lagarde…
Sì, ma bisogna capire di quali dati si parla.
Se si tratta di quelli passati dobbiamo tenere presente che incorporano l’effetto delle decisioni delle banche centrali dei due anni precedenti.
La realtà che è dobbiamo passare dai dati alle previsioni.
Bisogna anche mantenere una trasparenza verso i mercati
Sì, ma dire cosa si farà in futuro non ha senso, perché le cose possono cambiare nell’arco di pochi mesi.
Piuttosto bisogna introdurre una comunicazione condizionale: dire al mercato che, nel caso i dati siano di un certo tipo, allora la Bce agirà in un certo modo.
E nel 2025 come agirà?
Taglierà ancora un quarto di punto a gennaio.
Con le previsioni che ha fornito nell’ultima riunione di un’inflazione intorno al 2%, la politica monetaria non può più essere restrittiva.
È tempo di definirla neutrale, o addirittura espansiva.
Così il mercato capisce che i tassi scenderanno al 2-2,5% entro metà 2025.
Rischi per la crescita ancora ce ne sono. Per esempio i Dazi di Trump.
Per questo la prudenza è giustificata. Gli scenari possono essere di vario tipo.
Trump non solo potrebbe imporre dazi, ma anche una profonda deregolamentazione, e importanti tagli fiscali per le imprese, che avvantaggerebbero le aziende Usa rendendo l’economia Usa più attrattiva, a svantaggio di quella europea.
Si materializzerebbe quel rischio di un’improvvisa disinflazione che alcuni temono.
Questo rischio c’è se l’economia europea rallenta più del previsto.
Per ora però gli scenari possono essere di vario tipo.
Anche perché in questo clima si verificherebbe un deprezzamento dell’euro in grado di dare fiato all’export.
Trump farà quello che ha promesso, ma in quale misura è ancora da stabilire.
Quindi c’è un equilibrio da trovare.
La situazione si capirà meglio solo nell’arco dei prossimi due o tre mesi.
L’industria europea chiede da subito un percorso di tagli determinato
Sì, ma bisogna smetterla di chiedere ad altri di risolvere i nostri problemi.
La politica monetaria può aiutare, magari migliorando le esportazioni, ma non può risolvere gli attuali problemi di competitività dell’industria.
Serve favorire le ristrutturazioni, aiutare la transizione digitale e ambientale.
L’Italia, in particolare, ha problemi di ritardo strutturale e di dimensioni.
In tutto questo la Bce non può farci nulla.
Servono grandissimi investimenti, da fare ora.
Mancano i soldi. Per trovarli si invocano gli Eurobond.
Il debito, per esempio, potrebbe finanziare un progetto di Difesa comune, ora che Trump ci chiede di alzare le spese militari al 3% del pil.
Finanziare debito comune per trasferire i soldi agli Stati e permettere a ciascuno di fare ciò che gli pare non risolve alcun problema.
Serve una politica comune.
Inoltre, un debito comune presuppone la garanzia di un bilancio Ue e quindi di tasse europee che coprano almeno il pagamento degli interessi.
Accusiamo Paesi come la Germania di essere contro il progetto, ma queste domande dobbiamo rivolgerle a noi stessi: chi chiede debito comune è disposto a subire queste condizioni?
Ovvero più trasferimenti verso l’Ue e maggiori poteri all’Unione?
Il nostro governo non mi sembra allineato su queste posizioni.