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Ettore Livini (Giornalista): «Il caso Alitalia tra i dossier più caldi per Mario Draghi»

La compagnia brucia oltre 2 milioni al giorno, il traffico è crollato dell’88%, servono soldi pubblici per pagare gli stipendi. E per mandare avanti il piano messo a punto da Conte ci vuole il via libera di Bruxelles, tutt’altro che scontato. Passano gli anni, cambiano i governi, si alternano le maggioranze ma il copione della crisi Alitalia – sempre identico a se stesso – torna a far tremare la politica tricolore e mette subito alla prova l’esecutivo di Mario Draghi. Lo racconta Ettore Livini su Repubblica, nel focus Affari e Finanza.

“La compagnia è stata commissariata nel 2017 con la dote di 900 milioni di prestiti pubblici e la promessa (fatta anche a Bruxelles) di una rapida privatizzazione. Ora, quasi quattro anni dopo, non è cambiato niente, se non in peggio: i conti sono ancora in profondo rosso e dall’ingresso in amministrazione controllata la società ha bruciato altri 2 miliardi. Il contatore del salvagente statale continua a salire: i contribuenti hanno garantito una nuova tranche di 400 milioni di prestiti (con la certezza che non saranno mai restituiti, come i precedenti) più altri 200 milioni necessari per continuare a pagare gli stipendi. Un compratore, dopo una decina di aste andate a vuoto, non c’è ancora. Il Covid, dulcis in fundo, ha complicato ancor più le cose” spiega Livini. 

IL CROLLO DEI PASSEGGERI

L’operatività è ridotta all’osso: Alitalia trasporta oggi circa 8mila passeggeri al giorno, l’88% in meno del 2019, garantisce 100 voli al giorno, il 70% in meno dell’era pre-Covid. Risultato: le perdite viaggiano in questo periodo ben oltre i 2 milioni al giorno, il piano per rinazionalizzare la società con la cessione alla neonata newco Ita (foraggiata con l’ennesimo paracadute pubblico di 3 miliardi) è contestato dalla Ue irritata da quattro anni di promesse non mantenute, gli stipendi di febbraio dovrebbero arrivare in ritardo solo oggi. E la patata bollente di Alitalia – con annesso contenzioso con Bruxelles – è planata da subito in cima ai dossier caldissimi per Mario Draghi.

Il governo Conte 2, in teoria, la sua soluzione per l’eterna crisi della neo-compagnia di bandiera l’aveva trovata. Il commissario Giuseppe Leogrande dovrebbe vendere la società in versione ridotta – con 5.500 dipendenti sui 10.500 attuali e poco più di una cinquantina di aerei su 100 – a Ita, azienda controllata al 100% dal Tesoro che grazie ai 3 miliardi garantiti per il decollo dal suo socio di riferimento (lo Stato) avrebbe i mezzi e il tempo per lavorare al rilancio, trovare un alleato internazionale e assorbire – se possibile – personale e aerei in più dalla procedura concorsuale se le cose, come previsto dal piano industriale messo a punto dall’ad Fabio Lazzerini e dal presidente Francesco Caio, dovessero andar bene.

Il resto dei dipendenti – come tutti i debiti prestiti pubblici inclusi – rimarrebbero a carico del commissario e si dovrebbe studiare un piano di ammortizzatori sociali (oggi ce ne sono 6.400 in cassa integrazione) per gestire gli esuberi. 

IL SALVATAGGIO CONDIVISO

Il piano, ribenedetto venerdì scorso da un vertice tra il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, quello dei Trasporti Enrico Giovannini e dal Tesoro, ha tutte le carte in regola per decollare. La politica, con la scusa della necessità dell’Italia di avere una compagnia di bandiera, ha raggiunto sull’ennesimo salvataggio Alitalia un consenso superiore a quello raccolto in Parlamento dal governo Draghi.

“Gli aiuti pubblici? Sono una necessità causa Covid, dicono tutti, visto che in fondo in un anno i vettori mondiali sono stati puntellati da 160 miliardi di iniezioni di denaro statale per non fallire” spiega ancora Livini.

“I sindacati – anche se manca un’intesa – non paiono contrari a questa soluzione che garantirebbe l’integrità della compagnia e chiedono solo garanzie per i lavoratori che non dovessero salire a bordo di Ita. L’unico problema è l’Europa: dal 2009 Bruxelles ha continuato a dare l’ok agli aiuti pubblici in cambio della garanzia che sarebbero stati gli ultimi. Questa volta non si fida più. Gli 1,3 miliardi di prestiti ponte che hanno tenuto in vita l’Alitalia dal 2017 a aggi non sono ancora stati sdoganati. Gli aiuti Covid sono autorizzati con il contagocce. E soprattutto Bruxelles, scottata dalle brutte esperienze del passato, si è massa di traverso sulla procedura di vendita di Ita” prosegue il giornalista di Repubblica.

Le attività di Alitalia non possono passare alla newco del Tesoro – marchio e Mille miglia comprese – con una trattativa diretta e privata, dice la Ue. Serve una gara vera aperta a tutti per garantire discontinuità tra nuova e vecchia Alitalia. E a quel punto la Commissione potrebbe chiudere un’altra volta un occhio, lasciando gli 1,3 miliardi di prestiti al commissario (senza obbligare a onorarli all’acquirente).

“Cosa può fare Supermario Draghi per sbrogliare questa matassa apparentemente inestricabile?” si chiede Livini. “Il problema non è semplice: dare ragione all’Europa e aprire una gara vera comporta diversi problemi. Servono 4-5 mesi per organizzarla, periodo in cui lo Stato dovrebbe garantire altre decine di milioni per il funzionamento della società” prosegue.

“I sindacati, con lo spettro di uno spezzatino o di una vendita senza rete a un vettore straniero, potrebbero dare battaglia. Matteo Salvini ha detto di avere «in corso conversazioni con potenziali investitori italiani» per farli entrare in partita. Ma dalla cordata dei capitani coraggiosi di Silvio Berlusconi in poi queste soluzioni non hanno mai avuto molta fortuna. L’alternativa è presentarsi in Europa con qualche concessione in mano, rivendendo i termini della cessione a Ita per provare a truccarla meglio da operazione di mercato. Obiettivo: raggiungere un equilibrio delicatissimo per ottenere l’ok della Ue senza urtare troppo i sindacati facendo saltare la pace sociale”.

Le prime scintille, del resto, sono già arrivate: l’ipotesi di un ingresso in campo di Lufthansa come possibile principe azzurro (come ha fatto con Swiss e Austrian) è stata accolta con il fuoco di sbarramento dei dipendenti. Tranquillizzati solo dal fatto che il vettore tedesco – puntellato in pandemia da 9 miliardi di aiuti pubblici – non potrebbe per un certo periodo fare acquisizioni in virtù delle intese firmate per avere gli aiuti di Berlino.

Ai sindacati però non è sfuggito un passaggio del discorso con cui il premier ha chiesto la fiducia al Parlamento: «Il governo tutelerà tutti i lavoratori – ha detto – ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività. Molte dovranno cambiare radicalmente e la scelta di quali proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi». “Vale anche per Alitalia? Lo si capirà davvero nelle prossime settimane” chiosa Livini.

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