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[L’intervento esclusivo] Elena Ugolini (già sottosegretaria al Ministero dell’Istruzione): «Persone, organizzazione e metodo. Tre idee per cambiare la scuola»

E’ possibile immaginare un modello di scuola diverso rispetto a quello a cui siamo abituati?

Non ci sarebbe bisogno di farsi questa domanda se la scuola italiana non avesse delle crepe che stanno minando alle fondamenta la possibilità che sia un luogo desiderabile e motivante, sfidante ed accogliente. Desiderabile perché capace di far leva sulla curiosità e sul desiderio di capire dei bambini e dei ragazzi, motivante perché in grado di intercettare il desiderio e il talento di ognuno, sfidante perché in grado di andare sempre più in là, sempre più in profondità.

E’ vero, due bambini su tre, da grandi, faranno un lavoro che oggi non esiste. Ma chi lo farà o lo inventerà quel “lavoro che non esiste“? Proprio loro, quei bambini e quei ragazzi che ora stanno frequentando per almeno mille ore all’anno un luogo che dovrebbe aiutarli a crescere e a far crescere in loro il desiderio di capire, l’amore per la lettura, la voglia di risolvere i problemi, il desiderio di realizzare “un lavoro ben fatto”, l’apertura, l’attitudine a vedere l’altro come un compagno di cammino e non come qualcuno da cui difendersi, proprio loro, di che cosa hanno bisogno?

La pandemia ha messo in evidenza a livello globale quanto sia importante un’educazione di qualità, capace di far crescere il potenziale umano di ogni giovane, in ogni situazione. L’Unesco ha pubblicato nel dicembre 2021 un rapporto della commissione internazionale sul “futuro dell’educazione“ in cui si evidenzia quali sono le caratteristiche di una scuola di qualità, capace di costruire un futuro diverso per tutti, e sottolinea l’urgenza di cambiare i modelli educativi.

Non è un caso che da poco (11 gennaio 2022) sia passata alla Camera dei Deputati una legge bipartisan per l’introduzione sperimentale delle “non cognitive skills” nel metodo didattico della scuola.

Pensare che basti ritornare al modello di scuola del passato per farla diventare nuovamente l’ascensore sociale degli anni 60, 70 e 80 è semplicistico. Dobbiamo capire che cosa va in  quel modello, che cosa non va (perché è ancora quello dominante) e che strada è necessario intraprendere per essere all’altezza delle domande dei nostri bambini e dei nostri ragazzi, oggi, nel mondo in cui viviamo.

Nel PNRR molti fondi sono destinati all’edilizia scolastica e si parla della necessità di ripensare a nuovi spazi per l’apprendimento, ma è possibile farlo solo decidendo che tipo di esperienza desideriamo che studenti e docenti facciano in quel luogo. La recente pubblicazione di Mario Cucinella su “L’architettura dell’educazione“ lo conferma.

Lavoro nella scuola dal 1984, non l’ho solo studiata, l’ho fatta, reinventata, costruita ogni giorno. E, come me, lo hanno fatto migliaia di docenti e di dirigenti. In questi anni sono nate tante esperienze interessanti che dimostrano com’è possibile coniugare la nostra tradizione, quel patrimonio culturale che permette l’accesso ai “grandi“ che ci hanno preceduto, dando i fondamenti indispensabili del sapere ed un metodo che consenta di mettere veramente al centro gli studenti, nelle dimensioni descritte prima. 

Non è innanzitutto un problema di contenuti, ma di persone, di architettura e di metodo. Non avrebbe senso buttare via tutto, ma occorre avere il coraggio di agire sulle leve che possono rimettere in moto un percorso di miglioramento vero tutte le scuole.

Eccone alcune:

  1. Le indicazioni nazionali sono ben fatte perché indicano quegli essenziali e quei canoni di autori, argomenti e testi senza cui si disperderebbe il nostro patrimonio artistico, scientifico, tecnico e culturale. Ma dobbiamo chiederci che cosa può renderle vive e interessanti. In classe non dovrebbero andare insegnanti che non sanno come agire a livello cognitivo, motivazionale e relazionale. Non c’è solo un problema di didattica della materia, occorre capire in che modo promuovere un insegnamento consapevole, capace di far crescere le capacità cognitive, motivazionali e relazionali degli studenti. Nella nuova formazione dei docenti questi aspetti dovrebbero essere imprescindibili. Non leggere Leopardi è un delitto, ma si può fare odiare Leopardi facendolo “ingoiare“ come un dovere.
  2. La legge sull’autonomia della scuola già dal ’99 dava la possibilità di lavorare a classi aperte, per gruppi di livello orizzontali e verticali, con insegnamenti opzionali; offriva la possibilità di coinvolgere esperti del mondo universitario, della ricerca e delle aziende; chiedeva di usare in modo costante laboratori esterni ed interni, di introdurre sistemi di valutazione diversi. Perché sembra tutto bloccato e immutabile, tanto che chi non conosce la scuola chiede di promuovere delle riforme che diano la possibilità di fare quello che, in realtà, si potrebbe già fare dal 1999? E’ la stessa cosa che è accaduta per la legge di parità approvata nel 2000 e mai applicata fino in fondo. Autonomia e parità sono due facce della stessa medaglia. Occorre avere veramente il coraggio di cambiare gli strumenti che impediscono alla scuola di essere un luogo dove si cercano veramente tutte le strade perché i bambini e i ragazzi possano fare un percorso significativo di crescita, di apprendimento e di apertura al reale. Senza cambiare il contratto dei docenti, senza avere la possibilità di valorizzare e dare responsabilità diversificate all’interno del collegio dei docenti, senza avere degli spazi adeguati, senza dare reale libertà di scelta educativa alle famiglie, è tutto talmente difficile da diventare “impossibile”.
  3. Nel nostro Paese si è a lungo dibattuto sull’opportunità che gli studenti concludano le scuole superiori a 18 anni come accade nel resto del mondo e uno dei motivi per cui non si è mai fatto un passo deciso verso questa scelta è la convinzione che la quantità sia di per sé qualità. I nostri studenti pur cominciando l’università un anno dopo i loro coetanei e dovendo avere una preparazione più ampia non riescono a concludere il percorso accademico. L’ultimo  rapporto di Alma Laurea evidenzia il ritardo con cui gli studenti italiani arrivano sul mercato del lavoro rispetto ai loro colleghi europei. L’età media della laurea triennale è infatti di 24,5 anni e per la magistrale di 27,1.

Penso sia per questo che il PNRR ha indicato di allargare a 1000 scuole il piano di innovazione ordinamentale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione che era già stato avviato per 100 licei e tecnici 4 anni fa. Il 7 Dicembre scorso il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato il bando per presentare i nuovi progetti che verranno valutati entro il 21 gennaio 2022. Questo bando non cambierà  la scuola italiana, ma potrà sicuramente essere un’occasione per ripensarla in modo diverso, i criteri di valutazione indicati nel bando fanno capire che questa è la sfida.

Non sappiamo ancora quante scuole abbiamo presentato dei progetti, ma posso dire che il Liceo Malpighi di Bologna lo ha fatto insieme a  30 scuole distribuite in tutta Italia e al Consorzio Elis, un gruppo di oltre 100 imprese e 4 università: Politecnico di Milano, Università Bocconi, Università di Padova e Università Tor Vergata. Uscire dalla propria autoreferenzialità e ragionare come una faculty estesa, in cui scuole, università e imprese lavorano insieme, è molto interessante.

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