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L’innovazione tecnologica e digitale applicata all’ambito sanitario può portare enormi vantaggi

L’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI)[1], pubblicato l’11 giugno 2020, mostra un andamento crescente in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, mentre il nostro Paese resta in coda.

I dati parziali dei cinque aspetti strategici, vale a dire il livello di connettività, le competenze digitali, l’uso di Internet, l’integrazione delle tecnologie nelle imprese e l’adozione di servizi pubblici digitali sono disarmanti; ma l’Italia si posiziona decisamente all’ultimo posto in relazione alle competenze digitali, cioè se si fa riferimento al capitale umano.

Dunque, mentre la Cina ha affrontato l’emergenza Covid-19 mettendo in campo tecnologie di posizionamento per guidare gli interventi di soccorso e la pianificazione dei trasporti, robot per spruzzare disinfettanti e testare la temperatura corporea delle persone, per preparare pasti e distribuire cibo negli ospedali, utilizzando droni per trasportare piccole apparecchiature mediche e i campioni biologici dei pazienti, l’Italia non è stata preparata abbastanza per condividere l’utilizzo di un’App utile per il contact tracing: al momento è stata scaricata solo da circa 4 milioni di persone (o, meglio, sono stati effettuati 4 milioni di download)[2] e non è stata ancora connessa digitalmente con i Servizi Sanitari Regionali e delle Province Autonome, a cui servirebbe invece per potenziare le azioni di prevenzione contro l’epidemia.

Volendo individuare le differenze fra l’epidemia d’influenza spagnola del 1918 e quella da COVID-19, a parte gli agenti etiologici il principale elemento di diversità risiede proprio nella disponibilità della tecnologia di cui oggi disponiamo rispetto al passato: le quarantene ed i lockdown sono rimasti invariati, mentre le tecnologie, tanto fruibili quanto sofisticate, permetterebbero oggi di fornire una risposta più avanzata ed efficace all’emergenza sanitaria e, soprattutto, di farci sentire meno disarmati, per non dire più equipaggiati di qualunque altra epoca precedente nel sopportare i disagi della restrizione di libertà, nell’individuare le strategie di gestione e nel velocizzare e permettere l’erogazione delle cure. A riprova di quanto detto sta il fatto che gli scienziati hanno impiegato più di un anno per decodificare il genoma del virus della SARS nel 2002, mentre oggi, grazie ai progressi della tecnologia, hanno identificato quello della Covid-19 in circa un mese.

L’innovazione tecnologica, soprattutto applicata all’ambito sanitario, porta grandi vantaggi spaziando dalla diagnostica alla medicina personalizzata, dalla prevenzione all’assistenza riabilitativa sulle cronicità: eppure, l’Osservatorio europeo delle politiche e dei sistemi sanitari (2019), nel rapporto Italia: Profilo della sanità 2019, Lo Stato della Salute nell’UE, rappresenta che l’Italia fatica ad innovare la sanità digitale, ovvero ad apportare l’innovazione digitale necessaria nel settore. Il tasso di adozione delle cartelle cliniche elettroniche presenta, ad esempio, notevoli differenze a livello regionale e stupisce il dato che, nel 2019, in sette regioni d’Italia nessun medico si sia mai avvalso delle cartelle cliniche elettroniche, mentre solo in otto regioni esse sono state utilizzate dall’80 % dei medici.

Il problema della lenta innovazione digitale dell’Italia sembra quasi essere congenito. Il documento dell’OCSE Education at a glance 2019 [3] puntualizza che nella classe di età dei giovani italiani, compresa tra i 25 e i 34 anni, solo il 28% sono laureati. A ciò si aggiunge un altro problema, di particolare impatto sull’innovazione digitale del Paese, vale a dire che la quota di laureati in Italia, in discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è, sul totale delle persone laureate, bassissima rispetto agli altri Paesi, in particolare rispetto alla Cina.

Tale fenomeno non è conseguenza di una cattiva offerta formativa o di un carente mercato del lavoro, perché i tassi di occupazione dei laureati in queste discipline sono altissimi anche in Italia e vicini alla media OCSE: a quanto pare, ciò che manca in Italia sembrano essere la sensibilità e l’attenzione all’innovazione che può davvero fare la differenza e che è quella culturale, la quale inizia molto prima del suo impiego attraverso le tecnologie. Dobbiamo necessariamente puntare su questa e l’innovazione digitale seguirà necessariamente.


[1] https://d1sjfc1jc23kt3.cloudfront.net/wp-content/uploads/2020/06/DESI2020.pdf

[2]https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/06/30/news/immuni_l_app_per_il_tracciamento_dei_contagi_a_4_milioni-260620640/

[3] https://read.oecd-ilibrary.org/education/education-at-a-glance-2019_f8d7880d-en#page1

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