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[L’intervento integrale] Jean-Pierre Darnis (Docente Storia contemporanea alla Luiss Université Côte d’Azur): «Vi spiego perché il Trattato del Quirinale può rilanciare l’Italia in Europa»

La firma del Trattato bilaterale fra Italia e Francia conclude un percorso avviato nel 2017, in un momento relativamente poco felice delle relazioni bilaterali italo-francesi, e sancisce oggi una nuova stagione nei rapporti tra i due Paesi.

Italia-Francia, un triennio di relazioni pericolose e la svolta di Draghi

Dopo l’elezione di Emmanuel Macron alla Presidenza della Repubblica, avvenuta nel maggio 2017, si registrarono subito tensioni fra Roma e Parigi: la rimessa in discussione da parte francese dell’accordo industriale Stx-Fincantieri, le divergenze sulla gestione del dossier libico, così come dei flussi migratori nel Mar Mediterraneo. Il Presidente francese, constatato l’aumento degli attriti, in occasione del summit bilaterale di Lione di settembre lanciò dunque l’idea di un Trattato bilaterale che contribuisse a stabilizzare di nuovo i rapporti. I lavori per l’elaborazione di un simile accordo presero il via nel gennaio 2018, dopo un incontro a Roma tra Macron e l’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nel quale fu annunciata la nomina di un comitato di saggi incaricato della stesura del testo.

Il comitato – composto per la parte italiana da Franco Bassanini, Marco Piantini e Paola Severino, e per la parte francese da Pascal Cagni, Sylvie Goulard e Gilles Pécout – avviò le sue attività immediatamente, ma intanto il clima tra Roma e Parigi continuava a deteriorarsi e alla fine i pourparler vennero di fatto insabbiati. Il biennio 2018-2019 ha segnato un momento di profonda crisi fra Italia e Francia: in aggiunta alle divergenze su importanti dossier economici e internazionali, si è manifestata una dialettica di aperta opposizione politica, dai contrasti fra il ministro dell’Interno e vicepremier Salvini e Macron fino all’incontro dell’altro vicepremier Luigi Di Maio con un leader dei Gilet gialli (episodio che nel febbraio 2019 spinse Parigi a richiamare in patria il suo Ambasciatore a Roma, Christian Masset).

L’azione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, prima, e poi il nuovo corso della politica italiana con il Governo Conte II hanno consentito una normalizzazione delle relazioni. Già all’inizio del 2019, peraltro, il rinnovo del Trattato francotedesco ad Aquisgrana aveva suscitato nuova attenzione sull’opportunità di strutturare le relazioni bilaterali e permesso ad alcuni osservatori di ricordare che l’idea di un accordo simile era stata abbozzata fra Italia e Francia.

Dall’autunno 2019 si è assistito a una ripresa di relazioni più fruttuose, ufficializzata dal vertice bilaterale di Napoli del febbraio 2020. È in questa sede che vengono rilanciati i lavori per il Trattato bilaterale. Diversamente dal 2018, però, i negoziati sono affidati alle diplomazie dei due Paesi, che da questo momento in poi si occuperanno della stesura del testo.

La nomina di Mario Draghi a capo del Governo italiano, nel febbraio scorso, ha provocato un’ulteriore accelerazione verso l’intesa per due motivi. Il primo risiede nella capacità personale del leader italiano, che gode di una reputazione eccellente in tutta Europa e ha sempre avuto posizioni convergenti con quelle francesi. Inoltre, dopo l’insediamento di Draghi a Palazzo Chigi, Parigi ha dato via libera all’esecuzione da parte delle proprie forze dell’ordine dei mandati d’arresto relativi ad alcuni cittadini italiani condannati per terrorismo e presenti sul territorio francese.

Così facendo, la Francia ha riconosciuto i procedimenti giudiziari italiani e ha chiuso una ferita aperta da decenni, rimuovendo in questo modo un antico e simbolico contenzioso fra i due Stati e sgombrando la strada per un nuovo ciclo di cooperazione.

La visita di Stato del Presidente Mattarella a Parigi nel luglio 2021, nonché l’incontro fra Macron e Draghi nel settembre 2021 a Marsiglia, hanno ulteriormente confermato questo clima di intesa ritrovata, aprendo all’obiettivo della firma del Trattato del Quirinale entro la fine dell’anno.

Contenuti e ambizioni del Trattato del Quirinale

Il Trattato del Quirinale intende riprodurre il meccanismo alla base del Trattato francotedesco dell’Eliseo. Quest’ultimo rappresenta una chiave di volta per i due Paesi ed è nato nel contesto del Dopoguerra per sancire la volontà di Charles de Gaulle e di Konrad Adenauer di ricucire un rapporto bilaterale che era stato devastato dallo scontro bellico. La dimensione della riconciliazione post-bellica franco-tedesca rappresenta una specificità del Trattato dell’Eliseo che non si ritrova nel Trattato bilaterale italo-francese.

Tuttavia occorre constatare come, dagli anni 2000 in poi, si siano moltiplicate le incomprensioni fra Roma e Parigi, sia nell’ambito di alcune iniziative di politica estera che di importanti partite economiche. È maturata di conseguenza la consapevolezza dell’opportunità di uno strumento di mediazione utile ad accrescere la mutua conoscenza e a fluidificare il quadro di cooperazione, anche in chiave europea.

Da questo punto di vista, e pur con le differenze storiche che abbiamo detto, il Trattato franco-tedesco rappresenta un esempio di buon funzionamento: il dispositivo istituzionale creato nel 1963 e ammodernato nel 2019 da Parigi e Berlino ha contribuito a solidificare i rapporti fra i Governi ma anche tra fasce di dirigenza delle amministrazioni ministeriali, creando tante cinghie di trasmissione che permettono ai due Paesi – pur nella diversità delle tradizioni e delle traiettorie politiche – di capirsi meglio e di esprimere convergenze.

In linea con questo modello, nelle bozze del Trattato del Quirinale si ipotizza per esempio un Consiglio permanente di alti funzionari pubblici dei Ministeri dell’Economia, organismo che potrà tornare utile nelle situazioni che coinvolgono le società partecipate dai due Stati. Simili istituzioni permanenti consentono di parlarsi in anticipo, disinnescando in questo modo potenziali scontri, evitando incomprensioni, inattese marce indietro come successo per iniziativa francese nel caso dell’intesa Stx-Fincantieri, oppure arrocchi protezionistici come nel caso delle vicende Edf/Edison ed Enel/Suez.

Lo stesso circolo virtuoso potrà essere innescato nei campi della difesa e della politica estera, anch’essi centrali nell’accordo che stiamo esaminando. Sulla Libia, nonostante il recente avvicinamento tra Roma e Parigi nel tentativo di favorire la stabilizzazione del Paese attraverso la consultazione elettorale di fine dicembre, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da dissidi costanti. In questo caso ha probabilmente pesato l’idea che tanti in Italia hanno della Francia, vista come una potenza esageratamente machiavellica e quasi infallibile nel perseguire i propri interessi al di fuori dei confini. Ecco una situazione in cui una maggiore conoscenza reciproca, sulla scorta di scambi e incontri sistematici, potrebbe correggere certi pregiudizi.

Nella bozza di Trattato ci sono dichiarazioni di intenti molto nette in materia, tuttavia forme stabili di istituzionalizzazione delle relazioni reciproche sono ancora di là da venire. Si evocano per esempio “sessioni di formazione comune” delle rispettive diplomazie, forma molto più blanda dei Consigli congiunti dei Ministri della Difesa o degli scambi di funzionari in essere tra Parigi e Berlino.

L’intesa tra criticità presenti e prospettive future

Al di là delle dichiarazioni di amicizia e di principio, comunque da non sottovalutare, l’efficacia del Trattato si misurerà sulla base del livello di minore o maggiore istituzionalizzazione delle relazioni tra Italia e Francia. Il successo del Trattato franco-tedesco è dovuto infatti a questo aspetto dell’intesa, a meccanismi-corollario come lo scambio automatico di alti dirigenti pubblici che durante la loro carriera svolgono mansioni lavorative per l’altro Stato, o la creazione di comitati ad hoc, o il rispetto di un rigido calendario di incontri governativi.

Un simile dispositivo ha avvicinato procedure e modalità di riflessione lì dove, a Parigi come a Berlino, vengono prese decisioni rilevanti per il futuro di entrambi i Paesi. Su questo fronte il Trattato del Quirinale è per il momento più reticente, maggiormente incline a definire specifiche road-map settoriali. Si può dire che esso privilegi una “istituzionalizzazione à la carte” delle relazioni multilaterali, il che lascia queste ultime in balia delle variazioni di maggioranza e di equilibri politici nei due Paesi.

Il limite appena individuato si spiega in parte con il carattere estremamente innovativo del Trattato del Quirinale per la politica estera italiana e per la sua tradizionale cultura diplomatica. Come è stato notato da alcuni osservatori, anche tra quanti sono pregiudizialmente critici verso l’intesa, l’europeismo di Roma è tradizionalmente propenso a un pronunciato multilateralismo, mentre la firma del Trattato del Quirinale crea per la prima volta l’embrione di un rapporto privilegiato con un singolo Paese, la Francia, spingendo l’Italia a un salto di qualità nella capacità di formulare un’agenda bilaterale specifica.

Quali sono i principali ostacoli sulla strada per questa nuova agenda? Le manifestazioni di misogallismo alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, certo, hanno lasciato tracce nell’opinione pubblica e in frange dell’élite italiana, alimentando in alcuni casi perfino forme di complottismo anti-francese, la lettura di ogni mossa con le lenti di un presunto espansionismo – perfino imperialismo – da parte di Parigi. Si tratta di atteggiamenti in continuità con le percezioni storiche post-risorgimentali, tornate in auge nel contesto neo-nazionalistico del XXI secolo.

Allo stesso tempo le resistenze a un approccio (anche) bilaterale alle relazioni internazionali sono figlie della memoria diplomatica italiana che ha sempre dovuto fare i conti in modo doloroso con i giochi di potenza del “concerto delle nazioni” europee. Dall’Unità d’Italia in poi, il rapporto con le potenze continentali è sempre stato assai complicato per un’Italia che voleva affermarsi fra i grandi mentre scontava alcune relative debolezze. Esiste quindi un problema di percezione di sé che viene peraltro tramandato in alcune delle categorie maggiormente legate alla propria tradizione storica, come la diplomazia. Senza contare che un certo conservatorismo sul fronte italiano potrebbe essere anche la comprensibile risposta a uno stile amministrativo e negoziale più diretto e rapido da parte di una nuova leva “macroniana” di diplomatici e pubblici ufficiali francesi.

Simili atteggiamenti sono in palese contraddizione con la “verità effettuale” dell’odierna cooperazione bilaterale tra Roma e Parigi, già estremamente ricca e sviluppata. Dalla collaborazione scientifica e tecnologica fino al settore del lusso, passando per lo spazio oppure il settore bancario, assistiamo da tempo a una intensa e rapida integrazione delle catene di valore fra i due Stati, con notevoli effetti di crescita frutto della complementarità dei tessuti economici e sociali, oltre che della vicinanza culturale.

Soprattutto, sarebbe errato enfatizzare una presunta grave e pericolosa contraddizione tra bilateralismo del Trattato del Quirinale e tradizionale multilateralismo italiano. La fondamentale posta in gioco del Trattato, lo ricordiamo, è la seguente: sancire un nuovo corso politico di convergenza fra i due Paesi nell’ambito dell’Unione europea e favorire ulteriori forme di cooperazione, meccanismi in grado di sfruttare e governare assieme una fase di straordinaria crescita comune, ovvero un gioco a somma crescente nel quale le sinergie sono premiate e incentivate.

Nell’odierna congiuntura continentale, l’europeismo francese – come dimostra quanto avvenuto col Trattato franco-tedesco – ne uscirebbe ulteriormente ancorato e rafforzato, mentre l’Italia ne guadagnerebbe in agibilità e peso specifico negoziali rispetto ad altri partner come la Germania o gli Stati Uniti. In definitiva, attraverso il Trattato del Quirinale, specie se questo sarà approfondito nel prossimo futuro, tanto Roma che Parigi accresceranno le loro possibilità di gestire in maniera proattiva la fase complessa ma potenzialmente espansiva che ci troviamo ad attraversare.


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