L’applicazione del principio del pragmatismo nella politica climatica europea si sta traducendo nel rinvio di tutte le scadenze.
Ma è nell’alleggerimento e semplificazione degli obblighi e nel ridimensionamento della platea dei soggetti obbligati che, in pratica, si propone uno svuotamento del Green Deal.
In nome della difesa delle aziende che competono con quelle dei paesi che non vogliono considerare il rischio climatico, si aumentano i rischi di chi ha in atto investimenti o sta perseguendo azioni per la loro riduzione.
Se la riformulazione dei parametri di applicabilità per la CSRD (rendiconti di sostenibilità) dovesse essere confermata, circa l’80% delle aziende europee precedentemente assoggettate ne verrebbero esonerate; per l’Italia la percentuale sale all’88%.
L’obbligo di rendicontazione, già previsto per il 2025, si rinvia di tre anni.
I requisiti di due diligence per queste aziende contenuti nella direttiva CSDDD, di molto semplificati e ridimensionati, andranno effettuati non più ogni anno, ma ogni 5 anni.
Le informazioni di idoneità e allineamento agli obiettivi ambientali richieste dalla Tassonomia diventano poi volontarie anche per le imprese di grandi dimensioni.
La perdita d’informazione è rilevante: secondo uno studio del Cerved, guardando alle loro emissioni di CO₂, risulta che circa il 30% delle emissioni dirette (Scope 1) delle imprese originariamente coperte dalla CSRD sfuggiranno tra le maglie più larghe della nuova regolamentazione; una percentuale di oltre il 40% sfuggirà per le emissioni di Scope 2, che coinvolgono le emissioni stimate per l’uso delle fonti fossili nella produzione.
In molti paesi le direttive ed i regolamenti sono però stati già recepiti (in Italia la CSRD nel settembre 2024), quindi anche le modifiche dovranno essere approvate dal parlamento.
La deregolamentazione non solo frenerà il processo della transizione, ma penalizzerà anche le imprese più avanti nel soddisfacimento degli obblighi normativi.
L’andamento dei corsi azionari e dei rendimenti delle società che hanno puntato sulle tecnologie verdi sono ai minimi, le istituzioni finanziarie si adeguano al nuovo vento negazionista e l’impatto dei rischi climatici sulla finanza nel medio e lungo periodo non è più argomento all’ordine del giorno.
L’effetto del crescente rischio regolatorio dato dalla variabilità delle norme si propaga, con buona pace degli obiettivi del Green Deal di garantire trasparenza, migliorare la qualità delle informazioni ESG e sostenere la fiducia degli operatori di mercato sulla finanza verde.