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Il diritto e la deontologia dopo la pandemia: i vecchi strumenti non bastano più

“I fatti sono incerti, i valori in conflitto, la posta in gioco alta, le decisioni urgenti”

Funtowicz e Ravetz Politeia XVII/62 pp. 77

Tra i problemi che affliggono la cosiddetta fase 3 della pandemia da Sars-CoV-2 si è già manifestato quello giuridico, sia sul piano risarcitorio (le famiglie degli anziani deceduti in RSA) sia su quello penale (le inchieste della magistratura).

Non occorreva molta fantasia per prevedere che la pandemia avrebbe rappresentato una stimolante occasione per i cultori del diritto: le Procure sono al lavoro e gli avvocati affilano le armi. Un importante giurista ha tacciato alcuni suoi colleghi, fin troppo affaccendati nel chiedere giustizia, di “accattonaggio legale”.

Al di là delle generalizzazioni sempre ingiuste e spiacevoli merita tentare un’analisi dei fatti, spinti dalla curiosità e dalla preoccupazione per la trasposizione della pandemia nei Tribunali.

Questo evento eccezionale può essere stato affrontato con ritardo, molte decisioni   prese in condizioni di estrema fretta possono aver trascurato la norma del consenso, la carenza di risorse ha proposto tragici dilemmi, l’aspetto umano dell’assistenza può esser stato negletto, la scarsezza di protezioni ha penalizzato medici e infermieri, sono mancati tempo e risorse per le cure palliative, gli anziani non sono stati protetti, infine i medici sono stati costretti a tentare strade terapeutiche sconosciute.

Tutto il personale e i medici in particolare hanno operato in condizioni del tutto inaspettate e inusuali. I medici hanno dovuto decidere senza il conforto di linee guida, condizionati da pressioni esterne enormi, sottoposti, sotto gli occhi di tutta la società, quasi a una sfida estrema con la stessa scienza, un faticosissimo stress test.

In siffatte evenienze nascono recriminazioni, sospetti di negligenza, sentimenti di rabbia e di sconforto, insomma una miscela esplosiva che chiede a gran voce giustizia morale e il risarcimento di presunti danni.

Vi è, tuttavia, come una sensazione di scarsa equanimità che molti giuristi hanno percepito ergendosi a difensori di chi si è esposto a rischi personali nel tentativo di salvare vite in situazioni caotiche che rendevano di fatto arduo o quasi impossibile dar corso a quelle norme che ormai costellano la relazione tra medico e paziente.

É come se il diritto oggi fosse maggiormente volto all’individuo e meno attento alla collettività; nello stesso modo è organizzata la sanità moderna. La pandemia ha mostrato, invece, quanto la salute sia un bene comune, un “interesse della collettività”, come recita l’articolo 32 della Costituzione: il welfare non è la somma di diritti individuali. Il diritto di associazione e di circolazione non sono stati abrogati durante il lockdown, ma hanno ceduto di fronte a un interesse superiore, quello di garantire il maggior bene possibile per tutti.

La sanità, la deontologia e il diritto sono pensate per affrontare situazioni individuali in tempi normali, potremmo dire in tempo di pace. Si sente il bisogno di una maggior attenzione alla deontologia e al diritto “in tempore belli” che non lascino solo il medico di fronte a scelte ardue e complesse. Anche questo è il senso del documento della SIAARTI.

Occorre un pensiero più ampio. Si parla di guerra e di eroi e si usano metafore belliche, si è perfino schierato l’esercito, ma di fronte all’aumento della domanda di cure e ai costi incrementali dell’innovazione, la sanità vive costantemente in carenza di risorse e molteplici decisioni mediche sono influenzate da condizionamenti esterni, spesso economici. Scegliere all’interno di risorse limitate non è una novità che sorprende come la pandemia.

L’intreccio tra aumento della domanda di salute, costi dell’innovazione e limiti di bilancio rende attuale la necessità di individuare criteri non solo clinici per dare sostegno alla responsabilità di chi sceglie e sarebbe realmente ingiustificabile che la deontologia e il diritto si trovassero impreparati di fronte a un’altra ondata pandemica.

Per questo occorre una rapida riflessione deontologica che apporti al Codice le opportune integrazioni ma, nello stesso tempo, i giuristi dovrebbero pensare a come adattare la Bianco-Gelli a una situazione che non è stato oggetto di riflessione durante la pur prolungata gestazione della legge.

Le scelte del medico non sono solamente dettate da criteri clinici e dal rispetto dell’autodeterminazione: la discussione pubblica sul Covid-19 si appunta sulla sorpresa provocata da questa patologia di fatto sconosciuta. Se vi fosse un’ondata di ritorno come possiamo sostenere l’incertezza del diritto e della deontologia? Non serve una disciplina militare ma una sorta di diritto in tempo di pandemia che, forse, esiste nelle pieghe del codice, ma che merita un intervento parlamentare.

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