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[L’Intervento esclusivo] Filippo Donati e Alberto Maria Benedetti (Membri laici del CSM): «Riforma del Csm, il rinnovo parziale anche a Costituzione invariata è possibile. E il Vicepresidente deve continuare ad essere eletto dal Consiglio. Ecco perché»

1. La necessità del rinnovo parziale del CSM

Nessuno oggi dubita che il CSM debba essere urgentemente riformato. Troppi e troppo gravi sono stati gli scandali emersi negli ultimi anni, che hanno messo di fronte all’opinione pubblica le degenerazioni del correntismo e gli effetti nefasti che hanno prodotto sul funzionamento dell’organo di governo autonomo della magistratura.  È vero che di riforme del CSM si parla già da tanto tempo.  Soltanto oggi, però, il Governo e le forze politiche hanno davanti un preciso limite temporale. Entro settembre 2022 si dovrà procedere al rinnovo del CSM con nuove regole, soprattutto con riguardo al sistema elettorale dei componenti togati, oggi additato come la causa principale delle distorsioni.

Accanto alla riforma del sistema elettorale, la Ministra Cartabia, nelle Linee programmatiche presentate al Parlamento, ha prospettato la possibilità di introdurre anche un rinnovo parziale del CSM, come già avviene per altri organi costituzionali. Una riforma che, secondo la Ministra, potrebbe “rivelarsi utile sia ad assicurare una maggiore continuità dell’istituzione, sia a non disperdere le competenze acquisite dai consiglieri in carica, sia a scoraggiare logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di organo di garanzia che la Costituzione attribuisce al CSM”. Il problema, ha evidenziato la Ministra, è stabilire se, da un punto di vista costituzionale, tale obiettivo possa essere perseguito attraverso una legge ordinaria, “interpretando i quattro anni di cui al penultimo comma dell’art. 104 Cost., come riferiti ai membri singolarmente considerati, e non all’organo nel suo complesso”.

La Commissione presieduta da Massimo Luciani ha ritenuto che l’introduzione, con legge ordinaria, di un rinnovo parziale del Consiglio trovi un ostacolo anche nella durata del Vicepresidente, che non potrebbe essere inferiore a quattro anni. In questa prospettiva la Commissione propone di avviare il meccanismo di rinnovo parziale attraverso l’aumento di un terzo del numero dei consiglieri, con rinnovo parziale (ora per due terzi, ora per un terzo) ogni due anni, e di affidare al Capo dello Stato la nomina del Vicepresidente. Questa soluzione permetterebbe, tra l’altro, di rafforzare l’indipendenza di quest’ultimo, ponendolo al riparo dalle contrattazioni correntizie e dai tentativi di ingerenza politica che ne hanno sempre accompagnato l’elezione.

L’idea che soltanto una legge di revisione costituzionale consenta di introdurre un meccanismo di rinnovo parziale merita però una riflessione. Così come la merita la proposta di attribuire al Capo dello Stato la nomina del Vicepresidente. Siamo infatti convinti che sia possibile introdurre un meccanismo di rinnovo parziale anche a Costituzione invariata, e che il Vicepresidente debba continuare ad essere eletto dal Consiglio, ma per una durata di due anni.

Proviamo brevemente a spiegare perché.

2. L’elezione del Vicepresidente

Partiamo dalla scelta del Vicepresidente, figura centrale per la gestione quotidiana del consiglio e per i suoi rapporti con il mondo esterno.

In Assemblea costituente, vennero respinte le proposte volte ad affidare la vicepresidenza al Ministro della Giustizia o al Primo Presidente della Cassazione: la prima per l’inopportunità di sottoporre la magistratura ad una eccessiva ingerenza da parte dell’esecutivo, la seconda, per evitare pericoli di autoreferenzialità dell’ordine giudiziario.

Neppure ebbe successo la proposta di individuare due vicepresidenti: il Primo Presidente della Cassazione e un consigliere laico eletto dal Parlamento. Sebbene l’intento fosse in qualche modo apprezzabile, nella misura in cui voleva portare ai vertici del Consiglio i rappresentanti delle due componenti del nuovo organo (quella laica e quella togata), l’idea della gestione dualistica di un organo unitario presentava limiti evidenti. Tra le varie proposte venne approvata quella dell’On. Lussu, che attribuisce la vicepresidenza a un componente di designazione parlamentare, da eleggersi con il voto del Consiglio stesso.

La soluzione adottata dai Padri costituenti si è rivelata lungimirante, perché ha valorizzato sia la componente laica – all’interno della quale deve essere individuato il Vicepresidente – sia la componente togata che, grazie alla sua preponderanza numerica, svolge un ruolo decisivo nell’elezione del vertice del proprio organo di autogoverno. Una soluzione equilibrata e funzionale alla necessità di garantire l’autonomia e l’indipendenza del CSM e della magistratura, se del caso anche nei confronti dello stesso Capo dello Stato. Ricordiamo tutti la drammatica contrapposizione tra il Presidente Cossiga e il CSM nei primi anni ‘90. Lo scontro fu così aspro che Cossiga minacciò ripetutamente di sciogliere il CSM, finendo col ritirare le deleghe al Vicepresidente che, tuttavia, riuscì a svolgere anche in quella crisi un importante ruolo a garanzia dell’indipendenza dell’organo di autogoverno.

Si è trattato, certamente, di un episodio eccezionale, difficilmente ripetibile in futuro. Ciò nonostante, vi sono seri motivi per dubitare sull’opportunità di rivedere il modello costituzionale e di affidare la nomina del Vicepresidente al Capo dello Stato.

Varie sono le controindicazioni di una scelta del genere. Innanzi tutto, questa soluzione spezzerebbe l’equilibrio costituzionale tra le componenti laica e togata, tagliando fuori la magistratura dalla scelta del vertice del suo organo di autogoverno. Inoltre, il Presidente della Repubblica, nominando il Vicepresidente, finirebbe inevitabilmente con l’assumersi di fatto la responsabilità del suo operato. La designazione da parte del Capo dello Stato, del resto, non necessariamente garantisce quell’iniziale e costante rapporto di fiducia tra i consiglieri ed il Vicepresidente, che occorre per il buon funzionamento del Consiglio.

Non si può infine trascurare il rischio, non escluso neppure dall’attuale legge elettorale, che una coalizione possa conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, acquisendo così un potere determinante nella scelta del Capo dello Stato e, conseguentemente, del Vicepresidente dallo stesso designato. In tal modo si finirebbe paradossalmente per contraddire lo scopo che i costituenti hanno perseguito con l’istituzione del CSM, ovvero la garanzia della divisione dei poteri.

Quando alla durata del mandato del Vicepresidente, né la Costituzione né la legge istitutiva del CSM (l. n. 195/1958) stabiliscono che debba necessariamente essere di quattro anni. Una previsione del genere non si trova neppure nel Regolamento interno del CSM. Del resto, non sarebbe possibile impedire a un Vicepresidente, ad esempio per motivi di salute, di dimettersi dalla carica ma di rimanere come Consigliere.

La riduzione del mandato del Vicepresidente a due anni, osserva tuttavia la Commissione, sarebbe inopportuna “perché il vicepresidente, anche per la sua posizione in rapporto al Presidente della Repubblica, a sua volta Presidente del CSM, dovrebbe garantire continuità all’interno del Consiglio”.  La continuità del Consiglio, però, è assicurata dal Comitato di Presidenza, che si rinnova fisiologicamente ogni volta che cambia il vertice della magistratura giudicante e di quella requirente. Quanto al rapporto con il Presidente della Repubblica, rileva non la persona, quanto l’istituzione. Per tale motivo, tra l’altro, il rinnovo della carica di Presidente della Repubblica non incide sul ruolo del Vicepresidente.

3. La Disciplina Transitoria

Un rinnovo parziale del Consiglio non potrebbe essere realizzato senza una disciplina transitoria, volta a permettere l’iniziale sfasamento delle elezioni dei suoi componenti.

La Commissione Luciani propone a tal riguardo un meccanismo di rinnovo modulare collegato all’aumento del numero dei consiglieri, che diventerebbero trentaquattro (ventiquattro “togati” e dodici “laici”). Alla scadenza del Consiglio in carica, si procederebbe al suo rinnovo nella misura attualmente prevista (sedici “togati” e otto “laici”); dopo due anni si procederebbe alla sua integrazione nella misura di trentasei consiglieri; a regime, si procederebbe al rinnovo parziale alla scadenza dei rispettivi quadrienni di mandato. In questo modo il Consiglio sarebbe rinnovato per due terzi e per un terzo ogni due anni.

Poiché tuttavia la durata del mandato del Vicepresidente non potrebbe essere inferiore a quattro anni, laddove si adottasse questo meccanismo di rinnovo “modulare” la nomina del Vicepresidente verrebbe effettuata o nella componente oggetto del rinnovo maggiore (per due terzi) o in quella oggetto del rinnovo minore (per un terzo), con violazione del principio di eguaglianza dei consiglieri. Anche per tale ragione, la Commissione Luciani propone di rivedere la Costituzione e di affidare la scelta del Vicepresidente al Capo dello Stato.

Sulla insussistenza in Costituzione di una norma che imponga la durata quadriennale del mandato del Vicepresidente, però, si è già detto sopra. Superato il tabù della durata quadriennale del Vicepresidente, non sussistono più ostacoli alla previsione di un rinnovo parziale, come auspicato dalla Ministra della Giustizia e dalla Commissione Luciani, senza sottrarre il potere di nomina del Vicepresidente all’organo di governo autonomo.

4. Le possibili soluzioni

Si potrebbe quindi prevedere che il CSM proceda alla nomina del Vicepresidente ogni due anni, in contestualità col rinnovo parziale, tra i consiglieri laici che abbiano già svolto due anni di mandato.

Questa soluzione presenta indubbi vantaggi. Eviterebbe innanzi tutto di dover affidare al Capo dello Stato la scelta del Vicepresidente, superando così tutti i problemi sopra evidenziati. Permetterebbe inoltre al Consiglio di eleggere il proprio Vicepresidente tra candidati che hanno svolto per due anni il ruolo di consigliere e, quindi, di esprimere una scelta più ponderata di quella “a scatola chiusa” effettuata fino ad oggi. Il nuovo Vicepresidente, infine, avrebbe fin da subito quella approfondita conoscenza della struttura, indispensabile per guidare la macchina consiliare.

Per permettere un rinnovo parziale del Consiglio occorrerebbe ovviamente una disciplina transitoria. La soluzione più semplice al riguardo sarebbe la proroga di una parte dei consiglieri. Oggi sono sette i membri togati subentrati in corso di mandato, a seguito delle dimissioni collegate alla nota vicenda Palamara. La Commissione Luciani esclude però l’ipotesi di un rinnovo che tenga conto della diversa scansione temporale dell’inizio del mandato degli attuali componenti del CSM, che comporterebbe “un’eccessiva moltiplicazione delle occasioni elettorali”, o quella della proroga parziale del Consiglio in carica, “che appare di dubbia costituzionalità, alla luce dell’art. 104, comma 6, Cost.”.

Non è però così scontato che una proroga di consiglieri in carica sia di per sé in contrasto con l’art. 104, comma 6, Cost. Una parte della dottrina ha sostenuto che una norma transitoria, destinata ad operare una tantum, potrebbe trovare una giustificazione alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.  Un intervento volto a permettere la prima operatività del meccanismo di rinnovo parziale del consiglio, infatti, non potrebbe configurare un attacco all’autonomia e all’indipendenza dei consiglieri, che l’art. 104 Cost mira a proteggere. D’altra parte, tale intervento potrebbe trovare una propria giustificazione nell’esigenza di realizzare quei principi costituzionali alla cui tutela è preposto l’organo di governo autonomo della magistratura dal momento che, come riconosce la stessa Commissione, un meccanismo di rinnovo parziale risponde all’esigenza di migliorare il funzionamento del CSM e di “ostacolare il consolidarsi di aggregazioni di interesse che trascendano il corretto esercizio delle funzioni consiliari”. 

In definitiva, quella del rinnovo parziale è una riforma possibile e realizzabile in tempi rapidi, in modo che, a partire dalla prossima consiliatura, possa aprirsi a una nuova fase della storia dell’organo di autogoverno. La conservazione del disegno costituzionale – ancora oggi pienamente convincente e assunto a modello in molte realtà europee  – è compatibile con un intervento riformatore di ampio respiro, destinato, nel tempo, a restituire al CSM quella autorevolezza minata dai deprecabili fatti emersi nel corso di questi ultimi anni.

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